di Pinella Leocata
Vietato a Sinistra. Dieci interventi femministi su temi scomodi (Castelvecchi editore) è un pamphlet attraverso cui le femministe della differenza vogliono rivendicare la propria storia e le proprie pratiche attaccate e contestate dalle compagne di strada, le transfemministe e le femministe intersezionali, e anche dalle forze di sinistra con cui per anni hanno fatto un importante percorso comune. Uno scontro su temi complessi, delicatissimi e “divisivi” che dieci femministe con storie diverse hanno raccontato a partire da una prospettiva comune, quella della difesa della donna da un pensiero e da un approccio teso a svalutarla negando la centralità del corpo e del sesso e, dunque, della differenza tra maschi e femmine. Un attacco alla dualità sessuale pensato nell’ottica dell’inclusione volta a dare pari dignità e uguaglianza ai gruppi minoritari e messi ai margini, come gay, transessuali, transgender, intersex. In questa prospettiva – sostengono le femministe della differenza – il “gender” viene visto come la via per eliminare alla radice le differenze sessuali considerate fonte di discriminazione. E dire che sono state proprio le femministe le prime a distinguere tra sesso biologico con cui si nasce e genere, cioè il «ruolo sociale, comportamentale ed emotivo che le diverse società attribuiscono ai due sessi».
Daniela Dioguardi, curatrice del pamphlet – a Catania in occasione della presentazione del libro che si è tenuta alla Camera del Lavoro su iniziativa de La Ragna-Tela e Fare Stormo – ha denunciato che chi non è d’accordo su questioni come la gestazione per altri, chi non considera la prostituzione un lavoro come un altro, chi non condivide il blocco farmacologico della pubertà in casi di disforia sessuale, viene accusato di essere reazionario, transfobico e persino fascista, mentre condividere queste idee e pratiche sarebbe espressione di laicità e modernità. Un approccio contro cui le femministe della differenza prendono posizione pubblica rivendicando la centralità del corpo e l’importanza della dimensione universalistica del tutto abbandonata per assumere il «paradigma individualistico diventato dominante nell’economia come nella politica e nell’etica». Paradigma in nome del quale «la concezione della libertà come affermazione positiva dell’integrità della persona viene scambiata con l’idea mercantile della libertà senza vincoli nel disporre di sé sul mercato». Una libertà per cui si pretende di avere diritto alla maternità surrogata che svilisce la complessità della procreazione umana trasformandola in una forma di produzione che riduce la maternità a mera gravidanza, a una sorta di «lavoro da fare svolgere alle operaie della riproduzione». Un’idea di libertà che reputa un diritto la mercificazione del proprio corpo e considera la prostituzione come un normale lavoro sebbene questa sia una delle moderne forme dello sfruttamento e del colonialismo.
«Si rivendica come un diritto l’avere un figlio, scegliere il sesso, prostituirsi», sostiene Silvia Baratella della “Liberia delle donne” che sottolinea come «i diritti ufficiali sono costruiti sul corpo maschile per cui l’eccedenza femminile rimane fuori». «Anche la legislazione di parità, che pure ha rimosso molti ostacoli alla realizzazione delle donne – denuncia – non solo non ha raggiunto del tutto l’obiettivo, ma produce paradossi». Per cui – come ha evidenziato Anna Di Salvo nell’introdurre l’incontro – in nome della bigenitorialità, in caso di separazione per violenza del coniuge, la donna rischia di vedersi togliere i figli accusata di “alienazione parentale”, cioè di istigarli contro il padre che i piccoli non vogliono incontrare per paura. Ancora. Il ministro dell’istruzione Valditara ha previsto “quote blu”, cioè quote maschili, per i posti di presidi, data la prevalenza di donne in questo ruolo. E nell’Emilia rossa l’Udi e un’associazione di lesbiche si sono viste rifiutati i finanziamenti previsti perché non hanno maschi tra i soci. Un approccio, questo, che – in nome di quello che viene definito progresso e modernità – anche la Sinistra ha fatto proprio. Di qui il titolo provocatorio del libro “Vietato a Sinistra”.
La volontà di cancellazione della donna – ha denunciato la femminista e deputata Avs Luana Zanella – passa anche dall’uso del linguaggio: dal ricorso al neutro, lo schwa, e dall’uso dell’espressione “violenza di genere” anziché violenza maschile contro le donne, e dalla perifrasi “persona con utero” per indicare la donna. È di questi giorni il manifesto di “Non una di meno” dove si legge che «il diritto all’aborto delle persone con utero è sotto attacco». «Per essere inclusive bastava dire: il diritto all’aborto è sotto attacco, perché ad abortire sono le donne».
Temi su cui si sono consumate rotture di relazioni politiche e amicali e persino l’interruzione di ogni forma di dialogo. Eppure è da qui, dal confronto, che bisogna ripartire per una politica condivisa delle forze di sinistra.
(La Sicilia, 28 settembre 2024)