di Alessandra Pigliaru
Scaffale. Un ritratto in prima persona dell’editrice e acuta intellettuale Laura Lepetit: «Autobiografia di una femminista distratta», per Nottetempo
Autobiografia di una femminista distratta di Laura Lepetit (Nottetempo, pp. 125, euro 12) ha una sobrietà e una grazia d’altri tempi, insieme a quella forma di esitazione che si confà a una signora che per la scrittura a firma di donne ha pensato progetti grandi, sia per l’avventura intrapresa nel 1975 con la casa editrice La Tartaruga, sia per i preziosi sodalizi stretti che hanno rappresentato l’alfa e l’omega di ogni suo desiderio. Dapprima come lettrice e poi come acutissima editrice, trovare il libro giusto, quello necessario, ha contrassegnato l’imprudente e mirabile avventura della Tartaruga, diretta fino al 1997 e nata intorno alla libreria Milano Libri, fondata con Annamaria Gandini.
Così si leggono anche le esperienze a Radio popolare, la vicinanza alle «folgoranti invenzioni» del Cicip e alla Libreria delle donne di Milano a cui approda proprio nel 1975. «Il mio amore più profondo e più nascosto va ai biondi, a quelli dagli occhi azzurri, ai luminosamente vivi, ai felici, agli amabili, agli ordinari». Di queste parole tratte dal Tonio Kroger di Mann, Lepetit segue in filigrana il senso della promessa silenziosa, di un giuramento lieve eppur solenne nei confronti della differenza e di quell’amore per ciò che compare e avanza splendente ai suoi occhi.
Niente affatto svagata, l’autobiografia che ha deciso di imbastire è piuttosto assorta e allo stesso modo si legge, con lineare semplicità e riconoscenza per la costruzione di un catalogo di oltre duecento titoli pubblicati , per le traduzioni di Virginia Woolf, Gertrude Stein, Margaret Atwood, Doris Lessing, Alice Munro ma anche Ivy Compton-Burnett, Nadine Gordimer e Barbara Pym; così come per Gianna Manzini e Paola Masino. Un ricamo dalle perfette impunture disegna i volti di chi ha incrociato tra cui Angelica Garnett, nipote di Virginia Woolf, Leni Riefenstahl, Anna Banti e molte altre.
È però dell’autunno del 1970 l’incontro che ha cambiato la sua vita, quello con Carla Lonzi e le compagne di Rivolta Femminile: «la sua disponibilità era assoluta, la sua energia anche. Era un piacere insolito e una scoperta sorprendente vedere una donna fare uso della sua intelligenza e della sua passione per una causa, quella delle donne, in modo così totale e posso dire felice, senza mai perdere una graziosa ironia che la contraddistingueva».
Il periodo trascorso insieme alla pratica dell’autocoscienza è stata forse la vera lezione da cui Lepetit non è più tornata indietro, riuscendo a mettere a frutto quanto imparato anche fuori dal gruppo, quando cioè se ne è separata per una diversa visione politica con Lonzi. Un apprendistato lento e a tratti tormentoso che tuttavia, come sa chi ha potuto lambire anche solo in parte l’esperienza politica tra donne, determina un prima e un dopo e la possibilità di misurarsi con il mondo in maniera inedita e inequivocabile.
Così tra gatti, passeggiate, piante e curiosità che fanno arretrare l’avanzare dell’età, Lepetit cuce con la pazienza dedita al racconto di sé solitudine, smemoratezza e gioia di aver vissuto una vita piena. «Raccontiamoci le nostre storie, per non vivere di riflesso, per non dover scegliere di essere sempre Madame Bovary o Giovanna d’Arco. Prendiamo a benvolere le nostre piccole grandi storie, adesso che siamo pronte sia a raggiungere una navicella spaziale che semplicemente a fare un giro nel nostro giardino».
(il manifesto, 8 marzo 2016)