di Tiziana Nasali
Dopo il movimento MeToo e le elezioni di medio termine del 2018 che avevano visto molte elette al Congresso, sembrava arrivato il momento per la candidatura di una donna alla presidenza degli Usa. Il New York Times, il più importante quotidiano statunitense, in vista delle primarie, aveva deciso di sostenere due candidate, Elizabeth Warren e Amy Klobuchar, spiegando che erano “le migliori scelte per i democratici” e dichiarando che era giunto il tempo che fosse una donna a diventare presidente degli Stati uniti.
Ma l’appello basato sull’appartenenza a ungenerenon ha dato i risultati sperati: un mese dopo l’avvio delle primarie nel campo democratico, che all’inizio contava diverse donne, restano in corsa due uomini, bianchi e di età avanzata e allora il New York Times riferisce che molte femministe sono deluse che la competizione per la scelta del candidato democratico alla presidenza degli Usa sia fra due uomini.
Cosa ha fatto ostacolo alla candidatura di una donna?
Il quadro è abbastanza complesso.
1. Innanzitutto le candidate non hanno avuto l’appoggio di tutte le femministe: alcune avevano dichiarato di votare per Sanders, che si qualifica come socialista democratico, proprio perché femministe, sostenendo che, anche se sarebbero state contente di vedere una donna candidata alla presidenza, solo Sanders avrebbe offerto l’opportunità di costruire un movimento che potesse davvero migliorare la vita della stragrande maggioranza delle donne.
2. Poi ci sono le donne -e gli uomini- per lo più appartenenti alla Sinistra socialista che non hanno sostenuto le candidate che si richiamano alla differenza sessuale: le accusano di difendere il sesso biologico e di opporsi alla ideologia gender e transgender. È cronaca recente che i Laburisti britannici e la Sinistra spagnola stanno discutendo l’espulsione delle proprie componenti femministe dal momento che queste si ostinano a contrastare l’ideologia gender e a difendere, invece, la differenza sessuale.
3. Altra obiezione alla candidatura di una donna, proveniente da donne e da uomini, è stata quella fondata sul presupposto che un macho come Trump possa essere sconfitto solo da un altro macho, come dimostrerebbe il precedente di Hillary Clinton. Il precedente, ovviamente, non dimostra questo, ma solo, forse, che c’è un elettorato che difficilmente voterebbe una donna perché ancora prigioniero di una cultura sessista, ai limiti del machismo, che attribuisce più valore agli uomini…
Ci sono, dunque, donne -e uomini- che mettono l’appartenenza al sesso femminile in secondo piano rispetto a questioni di classe, di razza etc. E ci sono donne, a mio parere, che per paura che la sottolineatura dell’appartenenza al sesso femminile comporti la discriminazione di altri soggetti, si negano la libertà di riferirsi esplicitamente alla categoria di donna. Ci sono donne -e uomini- che si fanno catturare da una cultura machista e sessista. Ci sono poi uomini -e anche donne- che usano le candidature femminili come segno di modernità, dei tempi che cambiano, del politically correct e non per vera convinzione. Spero che Joe Biden, che i risultati danno come probabile candidato per i democratici, quando ha dichiarato “Se diventerò presidente formerò un’amministrazione che somigli di più al Paese. E fin d’ora m’impegno a scegliere un vice di sesso femminile” l’abbia fatto per reale interesse a misurarsi con la ricchezza che le donne possono portare nella vita politica.
Nello scenario odierno le contraddizioni sono tante. Malgrado la forza dei movimenti femministi, negli Usa come in Europa, la sinistra sembra confidare poco nelle donne, che fanno più carriera a destra: la maggioranza di quelle che occupano posti ai vertici, istituzionali o di partito, sono le donne che scelgono di stare con la destra, dai conservatori fino alla destra estrema. Destra che, nello stesso tempo, sta attuando una controffensiva, complici le donne, che ha come primi bersagli proprio le donne e i diritti civili. Insomma c’è un grande disordine simbolico in cui è difficile orientarsi se non si ha come primo obiettivo quello della modifica dell’ordine simbolico stesso… Dal momento che non conosco dettagliatamente le ragioni della delusione delle femministe americane per il risultato delle primarie, cercherò di interrogare la mia. Con coloro che difendono il gender contro la differenza sessuale e con coloro che si ritrovano in una cultura sessista non sono, per il momento e per ragioni diverse, interessata a confrontarmi.
Sono invece più interessata a confrontarmi con le donne che in qualche modo si richiamano al socialismo. Ho sempre pensato anch’io che la rappresentanza parlamentare sia rappresentanza di interessi e non di sesso. La carriera che le donne fanno a destra lo dimostra: spesso prendono posizioni che non vanno nella direzione di iscrivere nell’ordine simbolico la libertà femminile, e talvolta votano provvedimenti che addirittura peggiorano la vita quotidiana delle donne. Quando sono brave e determinate, come o più dei loro compagni uomini, nulla osta alla loro elezione e sono votate anche dagli uomini dal momento che aderiscono a una visione del mondo che non scalfisce l’ordine simbolico dato: le vediamo stare sulla scena pubblica con la baldanza di chi ce la fa nonostante donna. È invece più complicato per una donna che ha a cuore la giustizia sociale e soprattutto la libera espressione della sua differenza femminile. La libera espressione della differenza sessuale richiede un continuo e difficile lavoro simbolico che incontra resistenze tradizionali e resistenze nuove come quelle del gender.
Sono molto contenta che il MeToo sia riuscito a far crollare un sistema di potere che sembrava inattaccabile. Esso ha segnato una rottura: finalmente le donne che hanno denunciato le violenze sessuali sono state credute e sempre più uomini si stanno dissociando dai loro simili, tanto da poter dire che è in atto un cambio di civiltà. Non posso, tuttavia, nascondere il rammarico che una donna come Warren, che a detta di esperti, aveva un programma decisamente buono, non abbia goduto, da parte di donne e uomini, del credito necessario per governare il Paese.
(www.libreriadelledonne.it, 30 marzo 2020)