di Alessandra Pigliaru
SCAFFALE. «La materiale vita», di Tristana Dini per Mimesis
Che il femminismo in questi anni sia riuscito a fare la differenza anche nel dibattito su neoliberismo e biopolitica è un dato. Nonostante la discussione sulla biopolitica sia piuttosto affollata, «usurata» e da parecchi anni, anche in Italia, ci sono delle posizioni che spiccano per originalità e tenacia della tenuta.
Emerge per importanza, sforzo pensante ma – soprattutto – caparbietà nel segnare il punto vero della questione, l’analisi di Angela Putino che – nonostante sia scomparsa da dieci anni – aveva già dato avvio a un percorso irreversibile in merito al tema. Insieme a lei molte hanno potuto trovare un confronto politico incarnato, significativo e che, nel tempo, ha voluto dire appropriarsi di un metodo. E tenerlo e praticarlo per sé, nonostante l’assenza della stessa Putino, ha previsto la crescita di generazioni politiche di donne che lo percorrono con la stessa appassionata ostinazione. È il caso di Tristana Dini – come anche di Stefania Tarantino, fine studiosa e lettrice di Simone Weil, e altre.
Su biopolitica, differenza sessuale e vita sacra si misura l’ultimo saggio di Tristana Dini dal titolo eloquente, La materiale vita (Mimesis, pp. 145, euro 16, postfazione di Marco Ivaldo) che ha come sottotitolo i tre nodi che vanno poi a dipanarsi in altrettanti capitoli.
Progetto editoriale che Putino e Dini avevano immaginato insieme e che doveva fare seguito a un seminario organizzato presso l’Itc-isr di Trento nel giugno del 2005 – tra le presenti anche Ida Dominijanni, Chiara Zamboni, Antonella Cutro. Nonostante il precipitare degli eventi, Angela Putino era riuscita a scrivere almeno l’introduzione al volume (che doveva contenere gli Atti) insieme a Tristana Dini che oggi mantiene la promessa e la pubblica, a doppia firma, in apertura del suo saggio. Si tratta di una sintesi perfetta, efficace divisa in 9 punti, una sorta di manifesto/vademecum in cui vanno ad affilarsi definitivamente le ragioni che conducono a una vicinanza la biopolitica e il femminismo. Soprattutto il modo e la qualità di intendere questa prossimità.
Seguendo la lezione di Foucault (ripresa da Judith Butler, Giorgio Agamben, Antonio Negri e Roberto Esposito), è necessario il raffronto tra biopotere e potere sovrano. La domanda tuttavia è sul tipo di potere della biopolitica e sulla legittimità o meno che lo si possa ascrivere allo stesso ordine della sovranità. Nella separazione tra i due poteri sta il punto e anche l’avvio del lavoro di Tristana Dini.
Fondante è l’implicazione tra materno e biopolitica e, scavando genealogicamente, si arriva alle competenze materne. È un nodo difficile da affrontare (e forse proprio per questo da discutere ancora giacché incandescente) perché «la biopolitica è una trasposizione, nel migliore dei casi, o addirittura una perversione della cura materna».
Appunto per questo è importante separare il potere sulla vita da quello sovrano per potersi soffermare sul significato della sessualità, dell’eros, dell’amore. In questo modo il discorso sulla biopolitica si desaturizza, aprendo a una politica della «materiale vita». In tutta la sua «zoé-pensante» complessità.
(il manifesto, 11 gennaio 2016)