di Silvia Motta
So che desiderare un bambino e non poterlo avere può essere molto doloroso, soprattutto per una donna. Ugualmente io dico un NO DECISO alla GPA (gestazione per altri – utero in affitto). Rispetto all’evoluzione straordinaria che hanno avuto le tecnologie riproduttive, dico che non tutto quello che si può fare va fatto. E non tutto quello che si desidera è trasformabile in un diritto. Più precisamente: non si può fare mercato dei bambini e del corpo delle donne.
Non mi spaventa la ‘sintonia’ che queste affermazioni hanno con le politiche della destra e con quelle dell’area cattolica-conservatrice: io parto da considerazioni diverse.
Non mi interessa difendere la famiglia tradizionale, eterosessuale e immutabile, con il portato di pregiudizi e di omofobia che porta con sé. Io parto dalla differenza dei due sessi e dall’asimmetria che li caratterizza. Le donne possono partorire, gli uomini no. Le donne sanno sempre quando sono madri e chi sono i loro bambini. I maschi possono spargere in giro bambini senza neppure venirlo a sapere.
Ci vuole il seme di un uomo e l’ovulo di una donna per concepire una creatura. È nel ventre di una donna che l’ovulo fecondato può svilupparsi fino a diventare una creatura vivente. La gestazione per altri oscura e nega la madre biologica (detta anche genetica) che nella procreazione umana non fornisce solo l’ovulo ma ha anche l’apparato corporeo e psichico idoneo per trasformare l’ovulo fecondato in un un essere vivente e per relazionarsi con lui anche prima che veda la luce.
Tuttavia, se ci addentriamo nelle diverse modalità che possono assumere le relazioni sessuali tra donne e uomini, le questioni si complicano ed è necessario fare differenze e precisazioni, a seconda che la surrogazione sia richiesta da una coppia eterosessuale o da una coppia omosessuale maschile.
Le statistiche dicono che le coppie eterosessuali sono la maggioranza tra coloro che ricorrono all’utero in affitto, e fanno meno problema delle coppie omosessuali perché la funzione materna viene agevolmente assunta dalla compagna dell’uomo che ha fecondato l’ovulo.
Nel linguaggio comune, per le coppie omosessuali maschili si fa riferimento a bambini che hanno “due papà”. È il caso più inaccettabile da tutti i punti di vista. Due padri? Il fatto non sussiste. Uno dei due di sicuro non è il padre, ma, eventualmente un compagno del padre. Certamente il compagno del padre può svolgere una funzione educativa-affettiva ma dire che ci sono due papà è un falso.
E la madre dov’è? Chi è? Circolano molti racconti edificanti sul coinvolgimento della madre gestante nella famiglia gay, con soprannomi carini come mummy. Dice Valentina Pazé (docente di filosofia politica presso l’Università di Torino): “All’inizio ho pensato che questi racconti fossero poco credibili. Poi il mio giudizio è cambiato. Ho riflettuto su ciò che già osservava Alain Caillé: la grande capacità del capitalismo di mobilitare il “non utilitario”, come la dedizione, la generosità, e l’altruismo al servizio dell’utilitario. E, per altri versi, il bisogno da chi è coinvolto in simili transazioni di raccontare a sé e agli altri una verità diversa da quella dello scambio commerciale”[1].
Non c’è ovviamente surrogazione nella coppia formata da due donne. Volendo condividere la maternità esse possono fare lo sdoppiamento, una mette l’ovulo, l’altra la gestazione. Risalta in questo caso la superiorità femminile nella procreazione. La parità nel caso della procreazione non è valida, c’è un primato materno che nella nostra società viene comunemente ammesso.
Esprimere riprovazione e netto rifiuto verso la maternità surrogata per me non vuole dire legittimare comportamenti e parole criminalizzanti contro chi vi è ricorso. Non perché questa non sia un fatto di grande gravità, specie per noi donne che subiamo un’ulteriore cancellazione, ma perché è un fenomeno che esiste e non produce qualcosa di inerte, ma creature che devono poter vivere in un clima di accettazione e di non isolamento. Da questo punto di vista, la relazione che questi adulti hanno con i ‘loro’ bambini va riconosciuta esplicitamente e regolata legalmente per entrambi i soggetti della coppia. Nelle coppie omosessuali, la possibilità di adozione del figlio del partner potrebbe essere una buona soluzione[2]. L’applicazione a questi casi dell’adozione speciale, quella che la Cassazione indica per gli omogenitori, sembrerebbe già oggi una parziale risposta.
Per quanto riguarda i bambini nati con le tecniche della maternità surrogata, capita molto spesso che a una certa età vogliano sapere di più rispetto alla propria provenienza. A loro va riconosciuto il diritto di sapere la verità sulle proprie origini. Per questa ragione, alcuni paesi dove la maternità surrogata è permessa hanno introdotto la tracciabilità, cioè è vietato l’anonimato dei fornitori di gameti.
A chi voglio rivolgermi? In primis alle femministe, anche quelle della differenza, nel tentativo di portare un po’ di chiarezza perché la materia è complicata e molte si sentono confuse. E poi naturalmente a tutte e tutti coloro che vogliono confrontarsi davvero con questo argomento e non farne un’arma di propaganda politica.
Perché anche le femministe? Perché la denominazione femministe è una sorta di marchio ombrello sotto il quale trovano spazio diverse visioni. La mia visione va sotto il nome di ‘femminismo della differenza’ e in Italia è identificata spesso con la Libreria delle donne di Milano. Cosa in sé esatta ma riduttiva, perché il tema della differenza è riconosciuto da moltissime donne in tutta Italia e altrove.
[1] https://www.avvenire.it/vita/pagine/maternit-surrogata-ma-quale-libert?fbclid=IwAR2mlM4X1596q-c96_51NsbVOgPQmLoKQ7yGGxrcpOWPIPijxhzcQqvOV_k
[2] https://www.micromega.net/discriminazione-dei-figli-di-coppie-omosessuali-chiara-saraceno/
(libreriadelledonne.it, 30 marzo 2023)