di Lia Cigarini e Giordana Masotto
Non ci fa piacere veder ciancicare la parola femminismo. Questa è l’impressione che ci ha fatto l’infelice intervento di Valeria Fedeli, giustamente criticato da Lea Melandri. Nutriamo il massimo rispetto per le biografie personali di donne che hanno passione politica e si mettono in gioco. Ma, proprio per questo, ci pare imprescindibile, in questa fase delicata e ricca di trasformazioni, non sottrarsi a un confronto serrato. Infatti siamo fiduciose che le donne – tra le molte cose – possano portare questo nella politica istituzionale: la capacità di confliggere, di confrontarsi nelle differenze, non per gioco di potere, ma per stare in relazione con la libertà dell’altra/o. Perché è la democrazia tutta che oggi deve essere ripensata.
È con questo intento che ci preme parlare di femminismo e della folta presenza delle donne in Parlamento. Giudichiamo che sia il momento di usare tutta la forza e la passione che esprimono le donne, evitando ciò che spegne quella forza, contenendola e sviandola. E allora: il femminismo non è uno yogurt prossimo alla scadenza che possiamo ancora usare con vantaggio solo il tempo necessario per arrivare al peso forma.
Un obiettivo finale che secondo Valeria Fedeli sarebbe «valorizzare il capitale femminile». Ma vogliamo ancora puntare tutto sulle norme antidiscriminazione? Riproponendo quella parità che in tanti Paesi sta già mostrando la corda, ma aggiornandola con una malintesa idea di «differenza»? Una differenza ben modesta se lotta per ottenere «pari dignità». Siamo proprio sicure di voler essere pari a una politica, a un’economia, e a un maschile che stanno dando queste prove di sé?
Il femminismo non è un jolly che ci si può giocare nel modesto equilibrismo di chi – uomini e donne – cerca di accreditarsi sia presso le donne sia presso il partito. Il femminismo che conosciamo da molti anni – e che abbiamo visto illuminare e dare forza alle tante giovani donne incontrate a Paestum – non può servire per ri-governare in solerte silenzio una politica debole e compromessa (così si è dimostrato il Pd alla prova elettorale).
Ci fa piacere che in Parlamento ci siano più donne. Ma le battaglie che ci aspettiamo da loro vorremmo che non fossero quelle «femminili». Vorremmo che le donne si facessero sentire sulle strategie generali del partito, almeno un po’ più di quanto si sono fatte sentire in campagna elettorale. E di lavoro ce ne sarebbe da fare. Vorremmo che pretendessero sempre più luoghi in cui prendere autorevolmente parola, che confliggessero, si sottraessero alle norme e inceppassero le liturgie consolidate. Sia quelle del partito novecentesco sia quelle più recenti della rete. Che ci sorprendessero osando quello che, siamo convinte, saprebbero fare.
Non abbiamo dubbi che così facendo tante più donne (e uomini) stufe e «pragmatiche» guarderebbero a loro con speranza e fiducia. E magari le voterebbero anche, in una (forse) prossima scadenza elettorale senza listini bloccati. Ne siamo così convinte che l’abbiamo messo nero su bianco. Nell’ultimo numero, 104, della rivista Via Dogana, la rivista della “Libreria delle donne di Milano”, abbiamo firmato – Lia Cigarini, Giordana Masotto, Lea Melandri – un articolo dal titolo Un sì e tre no: quello che vogliamo e quello che non vogliamo dalle elette. Pensieri e proposte per tenere la rotta e non perderci di vista. Puntando in alto.
Le poste in gioco sono importanti e lì ne elenchiamo alcune. Una delle prime, secondo noi, riguarda oggi proprio il giudizio politico sulle leggi «di genere» come facile e pericolosa scappatoia per sentirsi – sia le donne sia gli uomini – «dalla parte delle donne». Il pensiero e la pratica delle donne hanno prodotto negli ultimi 40 anni elaborazioni ricchissime. Giuriste, filosofe, scienziate offrono spunti che non possono essere ignorati da chi fa leggi. E portano piuttosto a dire che:
a) sulla sessualità non si legifera;
b) le leggi antidiscriminatorie, notoriamente più amate da chi legifera che dalle donne stesse, hanno l’effetto pratico di imbrigliare e normalizzare l’attuale dinamismo culturale e sociale delle donne, che giustamente non amano essere trattate da deboli e vittime;
c) la Costituzione ben usata permette comunque qualsiasi azione legale antidiscriminatoria.
Il nostro è un invito. Come concludiamo in quell’articolo: «Aspettiamo quindi che le donne elette (senza escludere uomini, senza escludere le candidate non elette) rispondano affermativamente ai nostri inviti: non ci esoneriamo infatti dalla ricerca delle pratiche, delle idee e delle iniziative che possono realizzare quello che pretendiamo da loro. Da loro e da noi».