di Silvana Ferrari
Un filo sottile d’infelicità, un’incrinatura leggera quasi invisibile, la percezione di un vuoto, di una mancanza sembrano percorrere la vita di Lucia, la protagonista del secondo lungometraggio di Giorgia Cecere, interpretata in punta di piedi da Isabella Ragonese. Una vita fin troppo regolata che scorre apparentemente lungo i binari della tranquillità operosa e serena in una piccola cittadina della provincia piemontese con un figlio, un tenero adolescente acutamente percettivo e sensibile, un marito, a cui forse affida troppo della propria vita, e un lavoro autonomo soddisfacente.
Le prime inquadrature puntano immediatamente sui tre personaggi e illuminano le loro ormai consolidate dinamiche, come pure i loro caratteri e le reazioni messe in evidenza nel particolare della primissima scena della disavventura del furto dei pantaloni sulla riva del fiume, da cui prenderà avvio la narrazione.
Un film dalla tessitura della trama volutamente lasca che lascia a chi guarda il compito, a volte arduo, di intuire e di ricostruire eventi precedentemente importanti nella vita di Lucia e che motivano quel suo senso di assenza, di distacco, e che fa di due suoi incontri il punto di svolta, di rottura nella regolata traiettoria della sua esistenza quotidiana.
L’incontro casuale – a lungo evitato – con l’anziana madre dell’amica tragicamente scomparsa le risveglia ricordi, dolori volutamente sepolti, irragionevoli sensi di colpa che esigono l’urgenza di un segno di riconciliazione e di pace.
L’altro incontro, altrettanto casuale, avviene con il presunto ladro dei pantaloni, l’“extracomunitario”, l’immigrato sempre evitato e reso invisibile ormai storicamente in quel microcosmo di perbenismo provinciale. Lucia, al contrario e stranamente per il suo carattere schivo, lo cerca con pertinacia, lo insegue e con lui, Feysal, eccezionalmente, avvia un contatto, gli rivolge attenzione, uno sguardo fuori dalle paure e dai comuni pregiudizi circolanti.
È il segno di un cambiamento insieme a una graduale consapevolezza dei propri desideri e del mondo che la circonda; è la ricerca di un percorso, in un viaggio di ritorno verso il suo vero sé, alle sue radici e verso quel posto bellissimo che il titolo del film vuole vagheggiare, un luogo a cui tutte e tutti noi vorremmo tendere, aspirare per nuovi rapporti e nuovi modi di essere.
In questi giorni dove la tragedia delle morti nel Mediterraneo insieme a quella di migliaia di rifugiati in cerca di un luogo in cui vivere dignitosamente, lontano da guerre e da miserie, urla tutto il suo orrore, in questi giorni in cui finalmente l’Europa sembra voltare pagina ed è alla ricerca di forme di accoglienza, un film che pone la centralità di uno sguardo e di un rapporto diversi con lo ‘straniero’ diventa di estrema attualità e sensibilità.
Un film di atmosfere, dalla recitazione e dai dialoghi volutamente sottotono ed essenziali, quasi pudichi nel rivelare sentimenti e pensieri personali con ritmi dove la storia di Lucia ha modo di dipanarsi, mostrando che quel suo spostamento di consapevolezza diventa un percorso di libertà anche dai pregiudizi e da strutture mentali dominanti. Che ciò stia avvenendo lo testimoniano il sogno in cui Lucia dopo una lunga e affannosa rincorsa riesce a raggiungere l’amica e a riabbracciarla stringendosi a lei in un momento di grande felicità e il ritrovato rapporto con la madre dell’amica.
La regista Giorgia Cecere ha esordito nel 2011 con il lungometraggio Il primo incarico, presentato alla 67a Mostra del Cinema di Venezia e ben accolto da pubblico e critica, con Isabella Ragonese nel ruolo della protagonista.
In un posto bellissimo, un film di Giorgia Cecere – Italia 2015, 105’
(Via Dogana 3 – Vision, 9 settembre 2015)