«La prima ministra Enrico Letta…». Che ne dite? Vi pare una formula corretta? Risposta: no. Dunque perché dovrebbe essere corretto dire: «Il ministro Maria Chiara Carrozza»? Risposta: a rigor di logica (grammaticale) non è corretto, ma per alcune professioni e cariche l’uso ci suggerisce il maschile anche quando abbiamo a che fare con un referente femminile. Niente di più sbagliato. In un mondo politicamente corretto, che mostra di promuove (a parole) le pari opportunità e bandisce (a parole) la discriminazione sessuale, la lingua resiste nelle vecchie consuetudini. Eppure, persino un’istituzione antica come l’Accademia della Crusca invita a cambiare abitudini linguistiche in linea con i mutamenti sociali, e proprio in questi giorni (fino a domani) a Firenze la manifestazione La Piazza delle Lingue, dedicata ai problemi del multiliguismo, affronta la «questione femminile». Che persistano gli stereotipi maschilisti, lo dimostra il fatto che usiamo «infermiera», «operaia» e «lavandaia», ma ci ostiniamo a non riconoscere la corretta identità a un «ingegnere» o a un «primario» di sesso femminile, come se il prestigio sociale fosse prerogativa esclusiva degli uomini. Dunque, Gae Aulenti rimane «un architetto» e Laura Boldrini «il presidente» della Camera. Al punto da produrre a volte contorsioni morfologiche che sfiorano il ridicolo: «La sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini è andata…». Cadendo nell’errore, visto che la lingua italiana non permette di concordare al femminile un sostantivo maschile. Se è vero che la discriminazione sessuale si nasconde anche dietro l’apparente neutralità del sistema linguistico, è ora di dar retta all’Accademia della Crusca: dunque, evviva le sindache, le prefette, le avvocate, le ministre, le notaie, le magistrate, le ingegnere. E le donne poliziotto siano una volta per tutte poliziotte e basta.
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Intervento presente sul sito dell’Accademia della Crusca del marzo 2013
Linee guida per l’uso del linguaggio al femminile nelle pubbliche amministrazioni