di Silvia Baratella
Nell’incontro del 6 marzo si è discusso molto dello sguardo altrui sui nostri corpi. Lo sguardo di un pubblico solo parzialmente anonimo sui social, regolato da criteri maschili anche quando non è quello di un maschio. Addirittura quando è il proprio, scisso da sé, che guarda dall’esterno la propria immagine postata in rete e la giudica. Male gaze, “sguardo maschile”, l’hanno chiamato Ilaria Sirito e Daniela Santoro.
Tutto vero, ma non così univoco. Credo che ci sia una ricerca di sguardo femminile da parte delle donne. E che nello scambio di sguardi che intrecciamo con le nostre simili ci sia anche un modo femminile di abitare lo spazio pubblico, una mediazione femminile con il mondo: vogliamo essere importanti per le altre donne e le altre donne sono importanti per noi. E questo non è poco.
Lo dico a partire dalla mia esperienza. Dopo aver lavorato da giovane in vari piccoli e piccolissimi uffici, nel ’94, a trent’anni, sono entrata in un grande ente a contatto con tanta gente, e in breve tempo i commenti delle mie colleghe su come mi vestivo o come portavo i capelli sono diventati importanti per me. Lo sono diventati a positivo, come uno stimolo, e ho iniziato a fare attenzione a certi dettagli anticipando con piacere i loro commenti. Un modo per esistere ai loro occhi, entrare nel loro mondo, condividere qualcosa di me con loro. Non mi sono mai forzata a truccarmi e neppure a adattare la mia immagine ad aspettative che non mi corrispondessero, ma in qualche modo la loro attenzione e la loro approvazione mi davano forza. La cosa era reciproca: anch’io le guardavo in un modo che dava loro importanza e che aveva a che fare con la comune appartenenza all’umanità femminile e con i suoi modi possibili di stare nel mondo: un tra-donne che scartava gli uomini al limite dell’orizzonte.
Anche questo non è così univoco: le altre possono, noi possiamo aver interiorizzato lo sguardo maschile, e quand’è così ce lo rimandiamo. Come sottrarci a questo rischio di ambiguità?
Facendo nostra la consapevolezza di quel di più femminile che c’è. Quello che ho detto prima e tanto altro “di più”, che è emerso nell’incontro: Maria Castiglioni nel suo intervento ha citato la femminista spagnola María-Milagros Rivera Garretas, che dice che il primo sguardo che si posa su di noi e che noi cerchiamo è quello della madre, per questo quando ci adorniamo «onoriamo la madre»; Lia Cigarini ci ha ricordato che la bellezza è delle donne ed è fonte di civiltà.
È sapendo che agiamo nella scia di questa consapevolezza che noi, i nostri corpi cambiamo di segno all’andare nel mondo, mandando all’aria il tentativo di esproprio esercitato dallo sguardo maschile.
(#VD3 – www.libreriadelledonne.it, 16 marzo 2022)