di Marisa Guarneri
Il dibattito in corso sul concetto di Gender in contrapposizione a quanto sottende alla teoria ed alla pratica della Differenza sessuale mi ha risvegliato vissuti ed esperienze che vengono dalla mia frequentazione con il sindacato e con il mondo della formazione.
La cultura profonda dell’eguaglianza (che è sicuramente un valore) si è confusa con quella della parità e successivamente con quella delle pari opportunità producendo a mio parere un forte corto circuito, più fra le donne che fra gli uomini.
Se per gli uomini la parità significa, nella sostanza, accogliere al proprio livello le donne, per le donne ha significato moderare le proprie aspettative al 50% di tutto. E su questo il dibattito e la polemica dura da anni.
Ma ciò che voglio sottolineare è che la necessità dell’eguaglianza fra donne ha fatto danni. Il desiderio di misurare l’altra a seconda della propria posizione ha voluto dire tenere a bada i desideri e le volontà. Inconsapevolmente questo permette di sfuggire ad una pratica importante: quella del riconoscimento delle capacità, talenti, eccetera di un’altra. Sentirsene sminuite invece che stimolate e rassicurate sul possibile, non saper contare sulla sua autorità. Quanta perdita di tempo e obiettivi snaturati in questa piccola palude. Riconoscere autorità ad una donna, anche quando non condividiamo sue scelte o linee politiche, aiuta la genealogia femminile e ci fa più forti tutte. Ne ho atto esperienza nell’UDI. Dal linguaggio si deve partire per capire.
Ad esempio per definire le azioni istituzionali in merito alla violenza sessista si parla di POLITICHE DI PARITÀ CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE. In questa frase c’è una somma di contraddizioni che ci mostra quanto sia difficile poi fare passi avanti nella lotta reale contro la violenza, le violenze. Politiche di parità tradotto significa che uomini e donne sono uguali nella violenza e nel suo contrasto. Non è ovviamente così, ma le parole servono a nascondere che nella violenza gli uomini e le donne hanno ruoli e responsabilità diversi. La maggioranza degli uomini agisce violenza contro le donne. Disparità evidente e certificata. La parola “genere” viene sostituita alle parole “contro le donne”. Come se la violenza fosse uguale e andasse interpretata egualmente se si tratta di uomini o di donne. La soggettività femminile e la relazione uomo/donna nel passato e nel presente restano in ombra. Ma non basta, questa logica delle politiche di parità produce anche azioni a favore dei maltrattanti. Di per sé queste azioni non sarebbero negative se non andassero a togliere spazio e fondi agli interventi per le vittime. Ma sono ancor di più negative perché mettono in discussione pratiche femministe contro la violenza sessista, che per l’appunto partono non dal genere, ma dalla differenza sessuale e mettono al centro la donna e la relazione fra donne come condizione e non solo come metodo, per uscire dalla violenza. Queste riflessioni mi portano a considerare utile e imprescindibile il conflitto con regioni e governo che ripropongono Piani Nazionali contro la violenza, che di queste contraddizioni e falsificazioni sono portatori potenti.
(Libreriadelledonne.it 10/04/15)