di Chiara Maffioletti
Chi la criticava, chi bofonchiava «adesso però basta», chi l’accusava di aver strumentalizzato la malattia. Chi sbuffava sui social dopo ogni nuova foto pubblicata dicendo: «Ora ha stancato» e chi le augurava la morte. Tutte le persone che si sono sentite nella posizione di sparare sentenze pubblicamente mentre Nadia Toffa stava affrontando come meglio credeva il momento più difficile della sua vita, oggi come si sentono?
Le reazioni inaccettabili
Dal principio della sua vicenda, Nadia Toffa ha fatto qualcosa di inusuale e quindi per qualcuno disturbante: ha scelto di scardinare una condivisa liturgia della malattia, non solo parlando del suo cancro ma rivendicando sempre il diritto di farlo con ottimismo, un tratto che è sempre stato parte del suo carattere e che non intendeva dunque abbandonare perché si era ammalata. Questo ha dato fastidio.
Il codice della malattia
Toffa ha rotto il codice della malattia. Non l’ha vissuta in silenzio, non ha scelto di puntare sul pietismo. Ha deciso, piuttosto, di spingere sul pedale dell’entusiasmo, arrivando a invocare per lei la «normalità. Continuate a prendermi in giro», aveva detto. In questo suo percorso, ha corretto il tiro, ha preso anche il suo carico di responsabilità quando era stata bombardata per aver definito il cancro un dono, spiegando che in realtà era lei che aveva scelto di viverlo così, come un’opportunità per imparare qualcosa. Ma di fronte a una situazione così enorme, ognuno non ha forse il diritto di affrontarla come meglio crede? Perché dovrebbe indispettire qualcuno la forza di una persona chiamata ad attraversare qualcosa di tanto enorme. Come è possibile sentirsi in diritto di commentare?
Il senso della vergogna «Viviamo in tempi oscuri», aveva dichiarato lei tentando di spiegare questo che però rimane un inspiegabile odio. E aveva ragione se così tante persone non hanno provato nessuna vergogna nel fare commenti di quel genere.
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(Corriere della sera, 13 agosto 2019)