di Brahim Maarad
Sconcerto tra la comunità islamica italiana per la decisione della Corte Europea di approvare il bando del hijab. La consigliera comunale: «Alimenta l’intolleranza». L’educatrice: «Lo uso per insegnare i colori ai bambini». In programma manifestazioni e campagne mediatiche.
Una doccia fredda. Quella sentenza della Corte di Giustizia Europea, con cui si autorizzano i datori di lavoro a vietare il velo islamico, proprio non ci voleva. Già il dibattito sugli indumenti sportivi prodotti dalla Nike per le musulmane si stava facendo molto acceso, ora c’è il rischio che si trasformi in uno scontro tra fazioni.
A esprimere la totale contrarietà in prima linea ci sono le donne musulmane ben inserite nella società, che ogni giorno si recano al posto di lavoro con il capo velato. Sumaya Abdel Qader, consigliera comunale a Milano nella maggioranza di Sala, commenta la sentenza uscendo dalla commissione Pari opportunità: «Sinceramente la notizia mi ha sconcertata perché pone molte preoccupazioni. Mi chiedo prima di tutto se questa neutralità tanto ricercata non vada alla fine a beneficio degli intolleranti, di chi non vuole avere a che fare con persone di altre culture. Inoltre, anche economicamente, mi chiedo quante persone rischiano ora di essere licenziate con questo precedente, considerato che riguarda anche ebrei, sikh e altre fedi. Quando si parla di velo purtroppo ancora non si coglie la differenza tra il simbolo religioso e l’atto di fede».
Sul velo Takoua Ben Mohamed ha pubblicato un libro, il fumetto «Sotto il velo». Lei è una giovane vignettista romana che gira l’Italia proprio per raccontare, con i disegni, gli stereotipi sul hijab. E questa sentenza di spunti ne ha forniti tanti: «Credo che questo sia un duro colpo a quelle che sono le libertà delle donne, i loro diritti e purtroppo anche alle lotte per la parità di genere». Per l’artista si tratta dunque di una «sconfitta che viola la basilare libertà della donna di decidere il proprio abbigliamento, anche in ambito lavorativo. Una incredibile retromarcia nel periodo in cui siamo tanto impegnati per il pieno riconoscimento del ruolo femminile nella società».
Non è da meno la presidente dei Giovani musulmani d’Italia, Nadia Bouzekri, che definisce il provvedimento «quanto di più discriminatorio e ingiusto a pochi giorni dalla Giornata internazionale contro il razzismo e le discriminazioni». Questo perché «in una situazione critica, in cui le donne che indossano il velo difficilmente vengono assunte, studentesse che faticano a trovare aziende per stage, questa norma legittima pratiche discriminatorie già in atto da anni». La leader dei giovani musulmani obietta anche sulle motivazioni che avrebbero portato alla decisione di Strasburgo: «Si pretende di liberare queste donne dalla sottomissione e dall’oppressione di un velo negando loro la possibilità di lavorare, di emanciparsi e contribuire alla crescita e allo sviluppo del proprio Paese. È questa l’Europa della tutela dei diritti?». L’associazione è al lavoro per organizzare manifestazioni e campagne mediatiche per sensibilizzare l’opinione pubblica. «Vogliamo coinvolgere anche i non musulmani perché siamo convinti che questa sentenza sia un passo indietro per la libertà di tutti».
A Bologna, la Comunità islamica si è invece già mossa con un comunicato ufficiale. Firmato anche da Rassmea Salah, islamologa e ricercatrice: «Troviamo che sia un precedente gravissimo che lede fortemente le libertà e i diritti delle donne europee musulmane alle quali questo divieto costituirebbe un ostacolo al loro naturale inserimento sociale e lavorativo nella comunità europea – spiega -. Crediamo che sia fuorviante e quanto più ambiguo vestire tale discriminazione religiosa con l’abito della libertà dei datori di lavoro di assumere e licenziare dipendenti secondo questo criterio che non tiene conto né delle competenze né tanto meno della formazione delle donne interessate».
È una musulmana di Bologna anche Amina Ennouri. Fa l’educatrice nelle scuole materne e primarie. Ogni giorno si presenta agli alunni con un velo colorato. «Oggi ad esempio abbiamo imparato il color tortora – sorride -. I bambini non hanno mai avuto diffidenza nei miei confronti, al massimo tanta curiosità». Qualcuno ad esempio le chiede se ha i capelli e di colore li abbia. «Ho sempre risposto mostrandoli direttamente a loro». È meno facile invece con genitori e altri insegnanti. Anche se spesso è solo questione di tempo. «L’anno scorso delle colleghe mi hanno regalato abiti adatti al velo». Sulla sentenza non ha dubbi: «Noi a scuola insegniamo la diversità, quella invece è una decisione di chiusura. E più si chiude e più si fa spazio agli estremismi. Solo pochi giorni fa celebravamo i diritti della donna e oggi le viene tolto il diritto di scegliere la propria personalità».
(L’Espresso, 14 marzo 2017)