Introduzione alla redazione aperta di Via Dogana TreOrientarsi con l’amore, 11 giugno 2023
Questo incontro, come avete letto dall’invito, è incentrato sulle pratiche che possono orientare il presente e sono contenta che qui con noi ci sia Chiara Zamboni perché ha lavorato molto su questo tema. Le pratiche, nel movimento delle donne, sono un fatto politico davvero importante perché hanno permesso di aprire uno spazio di soggettivazione per le donne e anche uno spazio di libertà, innanzitutto per le donne ma anche per gli uomini. In un incontro che qualche anno fa Chiara Zamboni ha fatto agli Archivi Riuniti delle donne del Ticino a Lugano, che ora si trova in rete in un documento dal titolo Le pratiche come modalità del simbolico, Chiara Zamboni parla diffusamente delle pratiche nel movimento politico delle donne, spiegando che sono processi che iniziano da donne in relazione tra loro, che possono subire modificazioni nel loro svolgersi, restituendo quindi un senso di libertà ma anche di precarietà. In estrema sintesi, si tratta di sperimentare in relazione, a partire dal desiderio soggettivo, e fare scoperte a partire dall’esperienza, andando al di là di quello che si pensa di sapere. Si tratta di imparare una nuova lingua per dire la propria esperienza e fare mondo, trovare parole nuove, non più irrigidite nelle forme che altri avevano pensato. In questo documento ci sono anche alcuni esempi molto esplicativi, vi consiglio di leggerlo.
Quello che mi ha sempre affascinato e attratto dei racconti sui primi gruppi femministi è che l’uscita di scena delle donne (dalla scena della politica fatta con gli uomini) per ritrovarsi, insieme, in un altrove senza una rappresentazione già data, ha liberato energie incredibili, cosa che possiamo vedere ancora oggi, che siamo in un posto venuto al mondo da quel desiderio. Più che un’uscita di scena è stata a ben vedere un mettersi al centro, e questo ha messo in moto una vera e propria rivoluzione simbolica, una trasformazione radicale della vita collettiva, che non ha distrutto cose e persone ma ha sovvertito l’ordine dei rapporti, togliendo sostanza alle istituzioni patriarcali e dando vita a nuove forme di relazione.
Siamo alla Libreria delle donne, in uno dei luoghi più importanti del femminismo italiano e non solo, un luogo che ha dato vita a molte delle pratiche che ancora oggi sono essenziali, altre che non ci sono più, un luogo dove possiamo continuare a fare ricerca. C’è un testo molto forte da leggere o rileggere, quello che viene comunemente chiamato “il non credere”, ovvero Non credere di avere dei diritti. La generazione della libertà femminile nell’idea e nelle vicende di un gruppo di donne (Rosenberg & Sellier) che potete trovare in Libreria. È un racconto appassionato e coinvolgente perché fa un’elaborazione a partire da un luogo collettivo di relazione tra donne e soprattutto perché srotola pensieri che restano serrati all’esperienza man mano ripercorsa e raccontata. Leggendolo, si può cogliere la potenza di quello che è successo in quegli anni, che è una scommessa ancora aperta.
Nel suo penultimo libro, Il capitale amoroso, Jennifer Guerra fa una ricerca intorno all’amore come pratica, come esercizio quotidiano. Quindi l’amore non inteso come emozione o sentimento “irrazionale e indomabile” (p. 15) ma come “amore pubblico, disinteressato, che dalla dimensione privata si riverbera su tutta la società, in grado di colpire anche chi decide di sottrarsi alla sua potenza” (p. 80).
I passaggi in cui Jennifer Guerra sviluppa il suo pensiero sull’amore come pratica che assume una dimensione pubblica mi hanno ricordato il lavoro di Françoise Duroux, filosofa francese, in particolare il libro recentemente edito che raccoglie alcuni dei suoi più importanti scritti dal titolo Il paradigma perturbante della differenza sessuale, curato da Chiara Zamboni e Stefania Tarantino. In lei troviamo il concetto di philia come amicizia, una forma di amore amicale, un legame tra esseri umani che investe la dimensione pubblica, scardinando le logiche di potere e sopraffazione.
Leggendo il libro di Jennifer Guerra ho anche ricordato una cosa che mi è successa tanti anni fa con il libro di Luisa Muraro L’ordine simbolico della madre. Ricordo perfettamente la circostanza, perché ho capito col tempo che quello è stato il fatto “fondativo” del mio femminismo. Ero sull’autobus verso Milano, diretta al mio lavoro, quando mi sono imbattuta nel concetto di amore femminile della madre che mi ha scompaginata, facendomi intravvedere un orientamento nel caos in cui mi trovavo. Mia madre non è stata femminista, anche se anagraficamente avrebbe potuto esserlo. E io mi dibattevo tra la rivendicazione di un suo sguardo amorevole e legittimante e la ricerca di questa impossibilità attraverso la ribellione, la partecipazione disordinata a vari gruppi femministi (che in provincia erano per lo più legati all’emancipazionismo e alla parità), e un rapporto ingarbugliato con gli uomini (per esempio sul lavoro: lavorando in un contesto prettamente maschile, entravo in una competizione estenuante e sempre in perdita, nonostante il mio perfezionismo), con uno struggimento e una sofferenza di cui non venivo a capo. Leggere e rileggere quel secondo capitolo del libro di Luisa Muraro è stato essenziale: non capivo e mi pareva impossibile operare lo spostamento dalla ribellione/rivendicazione all’amore per mia madre, ma intuivo la potenza di questo atto e sono rimasta nell’apertura, legandolo inizialmente alla scena più allargata, al mio desiderio di avere con le altre una misura che facesse star bene me e noi “nella nostra pelle”, per arrivare man mano a cogliere la potenza del gesto e della nominazione dell’amore femminile per la madre, ovvero la mediazione giusta per poter dire quello che mai avevo potuto dire e poter vedere quello che mai avevo potuto vedere. Che cosa? La bellezza e legittimità delle relazioni tra donne, la ricchezza di una società femminile che già c’era e che era parte di me, la possibilità di una relazione differente con gli uomini, la possibilità di un senso libero del mio essere donna, potendo pronunciare con gioia questo nome, senza cadere nell’essenzialismo di una etichetta che imprigiona in ruoli o significati precostituiti. Insomma, mi ha permesso di fare un passaggio da quello che credevo di sapere di me a quello che non conoscevo ma era lì, eccedenza per me senza voce né senso. Ha permesso un passaggio che oggi chiamerei simbolico perché mi ha portato a vedere più precisamente e vedere altro, riconoscendo la mediazione che rende possibile questo mutamento. E oggi posso dire che, al momento, mi pare una storia di trasmissione avvenuta, perché sono tutte cose che, avendo la fortuna di una figlia, ho passato a lei.
Il numero 3 della rivista Via Dogana, intitolato proprio L’amore femminile della madre ospita l’articolo di Luisa Muraro L’amore come pratica politica, che ci porta al cuore dell’incontro di oggi. A una donna che aveva posto un’obiezione profonda alla necessità di amare la madre, Luisa Muraro dà una risposta che anche oggi ci può orientare: “La risposta della pratica politica è migliore. Con la pratica io introduco una innovazione nel mio presente (per esempio tengo e rendo conto dei beni ricevuti dalle mie simili; espongo desideri e problemi, senza più difendermi col silenzio; mi vincolo al giudizio di una donna affidabile; etc.) rendendo il presente più vivo e libero, in quanto non più dipendente da quello che è stato; diventa invece vero il contrario, che il passato si presenterà mutato ai miei occhi, perché io sono mutata. Nelle parole della donna che mi ha insegnato la politica, oltre al posto dato alla pratica, tale che l’amore stesso diventa pratica, colpisce il cambiamento dello sguardo. Le parole di lei invitano a guardare la realtà come qualcosa che può mutare perché noi stesse possiamo mutare. Così, il movimento che ci ha portate a capire la necessità dell’amore femminile della madre, mostra questo amore all’opera: si mostra come opera di questo amore. E così il cerchio si chiude in un movimento circolare che ci comprende e dà forza” (p. 19).
Ho parlato di scommessa poco fa. Io credo, e insieme a me le amiche della redazione di Via Dogana 3, che ripensare a Eros e Philia in una dimensione pubblica sia molto importante per il presente che abitiamo, credo sia una scommessa che dobbiamo giocare insieme.
Lascio ora la parola a Jennifer Guerra e poi a Chiara Zamboni per i loro interventi.
(Via Dogana 3 – www.libreriadelledonne.it, 19 giugno 2023)