di Giovanni Ambrogio Colombo
Da una settimana il modulo di iscrizione di mia figlia alla scuola media giace intonso sulla scrivania.
Non so decidermi: sono genitore 1 o genitore 2? Opterei per il “2” ( mi sento un uomo post-patriarcale) se solo riuscissi a vincere il rigetto che mi suscita l’ “innovazione”.
La formula di un tempo – “padre, madre o chi ne fa le veci” – funzionava benissimo: con l’ipotesi di un’altra presenza dedita alla cura dell’alunno, diversa da quella paterna o materna, copriva, senza discriminazione alcuna, anche le situazioni plurali.
La nuova dicitura presenta invece il grave difetto di disconoscere differenze incancellabili.
Io sono il padre dei miei figli (“Ecco, quando sono diventato padre, ho capito Dio…”) e ho il diritto-dovere di presentami come tale davanti ai miei interlocutori. E i miei figli, alla pari di tutti i loro compagni di scuola, hanno il sacrosanto diritto-dovere di sapere da dove vengono.
In ogni percorso esistenziale la nascita non è mai un elemento accidentale: il padre è il padre, la madre è la madre, il partner del padre o della madre è appunto il partner di lui o di lei. Non a caso, un tempo, l’adozione aveva una sua solennità, perché significava l’ingresso in un’altra storia. Non a caso, oggi, in alcuni Paesi avanzati, il figlio di una coppia che sia ricorsa alla fecondazione eterologa ha la possibilità di scoprire il nome dell’altro genitore nascosto che gli ha permesso di nascere.
Siamo definitivamente entrati nel “regno della diversità” e quindi le differenze vanno riconosciute, non inscatolate sotto etichette generiche.
Il livellamento è impoverimento. “Genitore 1 e genitore 2” è una formula che può andar bene per i coniglietti. Già funziona male con i cani.
Volerla applicare alle storie delle persone è una contraffazione che sarebbe bene togliere subito dalla circolazione.
Saluti fecondi come i semi del baobab
(Giovanni Ambrogio Colombo)
P.s. La confusione dilaga nell’ Occidente spompato. Chi ha un ruolo pubblico dovrebbe emettere almeno qualche cinguettio.
A che serve politicare se non si ha il coraggio di lottare?
(www.welfarenetwork.it, 8/3/2015)