di Alfonso Berardinelli
Il singolare, famoso sorriso della Szymborska, che vediamo in tutte le sue foto, è un sorriso di divertimento e di sfida. Nella sua apparente leggerezza c’è un’instancabile e passionale tenacia. Sembra quasi che la sua poesia voglia avere una funzione. In realtà, ha solo quella, fondamentale, igienica, di disintossicare dalle idee generali che diventano idoli e miti quando le facciano vivere al di sopra delle circostanze. In un’intervista rilasciata a Francesco Groggia («la Repubblica», 7 aprile 2008), alla domanda su quale ruolo può avere la poesia contro i miti contemporanei, la risposta della Szymborska è: «Un ruolo molto piccolo, quasi nullo. Ma bisogna credere in ciò che si fa». La poesia è una sfida alle idee generali e al gran mondo della storia. Richiede una fede personale che non ha quasi fondamento pubblico.
È questa qualità intellettuale e dialettica, è il ritmo nella costruzione dei significati, che ha permesso alla Szymborska di resistere bene, meglio di altri autori, alla rischiosa avventura della traduzione. Si perde un po’ di musica, di allitterazioni, di omofonie eccitanti e comiche, ma il ritmo strutturale e il gioco concettuale rimangono illesi. Oltre alla musica verbale c’è una musica del pensiero.
C’è il ritmo dialettico della scoperta e dell’indagine mentale. Il mondo delle meraviglie è dunque qui, è il nostro. Si dilata e si contrae, dal cosmico al quotidiano, dalla preistoria all’attimo presente, purché si rovesci l’apparenza immediata e si sappia che c’è sempre altro da pensare, c’è sempre un «rovescio della medaglia». È uno «spasso» (così si intitola uno dei suoi libri) questo mondo singolare e plurale, maschio e femmina, presente e passato, realtà e possibilità, caldo e freddo, alto e basso. I modi e le forme della grammatica si mescolano con ciò che si legge nei libri di scienze, geografia, paleontologia e storia.
Divertimento, teatralità, acume dialettico, imprevedibili assurdità, devozione al dettaglio: tutte cose che auguravo alla poesia italiana. Nella stessa intervista che ho citato, la conclusione della Szymborska è questa: «La maggior parte delle persone non si dà la pena di pensare con la propria testa (o perché non può, o perché non vuole), e di conseguenza, è facilmente preda di suggestioni collettive. Qualcuno ha detto che le persone si istupidiscono all’ingrosso e rinsaviscono al dettaglio. Dunque amiamo e sosteniamo i casi al dettaglio».
(Il Sole 24 ore, 9 febbraio 2014)