di Sylvie Coyaud
Una segnalazione dell’amica bio-statistica che coordina il gruppo Ipazia 2.0 alla Libreria delle donne di Milano, mi ha richiamata al dovere. Non è vero che dei topolini sono nati “senza avere una mamma”.
Però la notizia scientifica evoca l’antico sogno maschile di riprodurre la specie, in meglio, narrato da millenni nei miti e poi nella fantascienza, con o senza particolari tecnici. In Dune per esempio, la casa Atreides ha al proprio servizio il guerriero Duncan Idaho che viene ucciso a ripetizione e risorge con nuovi poteri mentali e fisici dalle provette dei Tleilaxu, una setta specializzata in biotecnologie.
Non ci siamo. Toru Suzuki del lab di Anthony Terry all’università di Bath e altri embriologi molecolari non hanno clonato un maschio, vivo o defunto, dalle sue cellule.
Martedì su Nature Communications, scrivevano di aver coltivato in vitro ovociti di topoline ricavandone partenogenoti – proto-embrioni fatti di 2 cellule soltanto che nelle pescecagne mammifere, per esempio, si sviluppano normalmente – nei quali hanno iniettato degli spermatozoi. I partenogenoti sopravvissuti allo shock sono stati coltivati fino allo stadio di morule e impiantati nell’utero di topoline. Dei trenta che ce l’hanno fatta, 13 sono nati vivi.
Per fecondazione naturale, alcune delle nate vive hanno generato a loro volta partenogenoti (non vitali, come succede anche alle donne), e altre figli, figlie e nipotini in buona salute.
Com. stampa esagerato dell’univ. di Bath, per chi sa l’inglese è meglio il paper in open access: la procedura è un delirio di complicazioni affascinanti.
Da un decennio, si cerca di convincere le cellule staminali della pelle umana a produrre un ovocita fecondabile, per ora senza successo. Domani forse sì. Resterà da costruire la vasca-utero inventata dai Tleilaxu. Poi come un Dio e un Vergine Mario, gli uomini potranno riprodurre uomini a loro somiglianza, magari dotati di poteri sovrannaturali.
Lunedì invece, The Lancet pubblicava sei articoli che valutano i risultati di uno degli Scopi del Millennio decisi dall’assemblea dell’ONU nel 2000, che entro il 2015 doveva migliorare la “salute materna” e ridurre del 75% le morti da parto. In media mondiale, dal 1990 si sono ridotte del 44%, ma non il divario tra paesi ricchi e poveri: nell’Africa sub-sahariana muore una donna su 36, nei paesi ricchi una su 5000.
I risultati peggiori sono nelle regioni dove le ragazze e a volte le bambine sono bestie da monta usa e getta.
Welcome to our Tleilaxu overlords…
(titolo originale: Arrivano i Tleilaxu – O’s digest; ocasapiens-dweb.blogautore.repubblica.it, 17/9/2016)