Introduzione alla Redazione aperta di Via Dogana 3 Ricominciamo dal corpo – domenica 6 marzo 2022
Io, mia sorella e il corpo
di Daniela Santoro
Quando mi è stato chiesto di partecipare a questo incontro e soprattutto di condividere la mia personale esperienza del mio rapporto con il corpo, il mio vivere il corpo e soprattutto il mio essere corpo, ammetto ho avuto molta paura perché effettivamente non so quanto mi sento all’altezza di parlare di questo, soprattutto di parlare della mia esperienza, nella paura di non portare nulla di buono in tavola però comunque cercherò di farla più breve possibile.
Per contesto mi sembra importante iniziare partendo dalla mia nascita: io sono nata a fine millennio, nel 1999, come le teorie apocalittiche sul Millennium Bug. Sono cresciuta dunque in un’età a cavallo tra l’analogico e il digitale, non completamente analogico e non completamente digitale.
Non sono figlia unica, ho una sorella molto più grande di me: è infatti nata alla fine degli anni ’70, nel 1978 per la precisione. Siamo cresciute in due epoche e modi completamente diversi, e proprio da questo vorrei partire. Mia sorella è cresciuta in un periodo in cui per fortuna (o purtroppo, dipende dei punti di vista) non esistevano i social network, soprattutto n un momento in cui era possibile staccare gli occhi dai media, che invece adesso camminano nelle nostre tasche. Mia sorella ha vissuto la maggior parte della sua adolescenza divisa tra il mondo dello sport agonistico e quello dei concorsi di bellezza. Io l’ho passata divisa tra il mondo dello sport agonistico e lo schermo del mio computer.
Come questo abbia influenzato le nostre vite è quasi paradossale: se da un lato io non ho avuto nessun interesse nella mia vita a mostrare il mio corpo, ho comunque sviluppato dei comportamenti ossessivi e patologici nei confronti di esso; mia sorella d’altro canto nonostante vivesse quel mondo un po’ macabro dei concorsi di bellezza – tra parentesi contro il parere dei miei genitori – è come se non avesse mai sentito il peso del rapportare il suo corpo al mondo esterno.
Certo possiamo anche dire che i disturbi alimentari non sempre siano da imputare all’ambiente esterno, però come è possibile che tra tutte le donne della mia famiglia (ed è una famiglia molto numerosa) io – la più giovane – sia l’unica che abbia sofferto di disturbi alimentari? Non a caso con l’aumentare dell’utilizzo di social network c’è stata un’impennata nel mondo dei disturbi alimentari, che già avevano preso la via verso la vetta con il trend delle supermodelle negli anni 90.
Ho un ricordo vivido della me tredicenne, che cercava conforto su internet dopo che il suo allenatore di nuoto l’aveva pesata davanti a tutti: e cosa ha trovato? Che forse il mio allenatore non aveva tutti i torti. Che tutto questo fosse falso, l’ho capito solo più tardi, anche grazie all’autocoscienza con le mie sorelle. Così si era aperta una voragine, in cui mi sono volontariamente tuffata. Vivevo in una cassa di risonanza, le mie amicizie erano prevalentemente virtuali e le persone presenti fisicamente nella mia vita erano trascinate nello stesso circolo vizioso. Le vetrine di Facebook e Instagram non hanno fatto altro che amplificare la percezione alterata, in negativo, della nostra immagine. Allo stesso tempo farne a meno era impossibile, era necessario per far parte di qualcosa, di un gruppo, e tutte penso sappiamo come questo abbia effetto nell’adolescenza. Solo che quando non stai bene nel tuo corpo come fai a metterlo in mostra? È necessario metterlo in mostra ma come? Dunque si apre lo spiraglio dell’auto-oggettificazione: se piaccio agli altri, piaccio anche a me. Il problema è che questa non è una risposta: è un altro livello del problema, non porta una soluzione porta solo a scendere ancora più in basso in quella voragine. Perché comunque in quei momenti non sei realmente corpo sei solo una proiezione di esso, una proiezione che la società vuole. Vorrei soltanto averlo capito prima, ma effettivamente senza un riscontro e un confronto come quello che ho vissuto nei mesi di autocoscienza con Le Compromesse, a fatica ci sarei riuscita e ancora oggi sto combattendo.
E mentre tra terapia e autocoscienza cerco di liberarmi da questo giogo che ormai condiziona la mia vita in maniera capillare, ho iniziato a notare l’effetto distorcente anche su mia sorella. Lei che, in un periodo molto delicato della sua vita, si è messa alla berlina di giudici uomini di mezza età, senza che esso sortisse alcun effetto sulla sua psiche, adesso con l’avvento dei social network e delle influencer e di questi media insilenziabili ha iniziato a vedere il suo corpo diversamente: certo, mettiamoci i quarant’anni – che ormai sono visti da tutti come la data di scadenza di una donna –, a mio avviso però la ribalta di Instagram come social network nazionalpopolare ha aggiunto a questo un nuovo grado di demonizzazione dell’invecchiamento. I social network sono per tutti sì, ma solo giovani e belli, ovviamente sempre sessualizzabili. Ciò dunque l’ha portata negli ultimi due anni a sottoporsi a interventi di chirurgia estetica e plastica più o meno invasivi, per continuare a essere instagrammabile.
Quale sia una risposta all’essere corpo non l’ho realmente trovata, certamente però la prima cosa che noi giovani donne e non dovremmo fare è allontanare lo sguardo maschile, o meglio l’effetto dello sguardo maschile attraverso il quale ormai guardiamo sempre di più noi stesse.
(Via Dogana 3, www.libreriadelledonne.it, 8 marzo 2022)