di Francesca Zambelli
Torno, per un momento, su un gioco di parole di questi giorni: qualche tempo fa avevo “redarguito” una mia amica che usava il termine suffragetta come se fosse del tutto legittimo e a mia volta ero stata rimproverata di aver voluto fare un neologismo (come se non me lo potessi permettere).
Ho ripreso a parlarne al Circolo una sera a cena, scoprendo che anche lì il termine suffragista sembrava strano e ho chiesto conforto a una Maestra della parola e delle parole: Luisa Muraro. Mi ha risposto che era propensa a usare il termine “suffragetta” perché storicamente più radicato e mi ha chiesto che problemi avevo a proposito delle due parole. Naturalmente non avevo alcun problema e nessuna incertezza: ho sempre usato e difeso il termine suffragista, ma dopo la sua risposta, sono andata a documentarmi, per quanto con qualche motivata diffidenza nei confronti dei dizionari.
I vocabolari (Treccani, Sabatini – Colletti ecc) dicono finalmente che si tratta – per suffragette – di “denominazione ironica o scherzosa o derisoria…” Io ho sempre sostenuto che si tratta di una parola di conio maschile. Con Wikipedia, tuttavia la neutralità dilaga e il cortocircuito si fa plateale: “col termine suffragette si indicavano le appartenenti a un movimento di emancipazione femminile”…” In seguito la parola ha finito per indicare in senso lato la donna che lotta per il riconoscimento della piena dignità delle donne, coincidendo in parte col termine femminista”.
Ecco, ci voleva anche questa!
La redazione risponde:
Ecco, questo è il modo giusto di chiamarle. Infatti erano delle femministe che avevano una ricchezza di pensiero che bisogna andare a scoprire, che oltrepassa la questione del suffragio universale. Le storiche Emma Scaramuzza e Anna Rossi Doria hanno scritto pagine importanti su questi argomenti, andatele a scovare.
(www.libreriadelledonne.it, 24/4/2015)