di Viviana Mazza ed Elena Tebano
Francesca Donner, direttrice del «progetto gender» del New York Times che ha tirato fuori lo scandalo Weinstein: «Le donne hanno sempre denunciato, ma ora si è iniziato a credere alle vittime»
«Le storie su cui stiamo scrivendo erano segreti di pulcinella e in alcuni casi erano state rivelate pubblicamente in passato, ma la gente non prestava attenzione, mentre adesso lo fa». Francesca Donner, è la direttrice della gender initiative (il «progetto sul genere») del New York Times, che ha deciso di raccontare il ruolo che le differenze (e le disparità) tra uomini e donne rivestono nella politica, nell’economia e persino nella cronaca. Il Times è il giornale che (insieme con il New Yorker) ha tirato fuori lo scandalo del produttore molestatore seriale – e finora impunito – Harvey Weinstein, iniziando un dibattito sugli abusi sessuali sul lavoro che è diventato presto mondiale e ha scatenato una valanga di denunce in tutti i continenti. «Quello che ha fatto la differenza è che adesso l’opinione pubblica crede alle vittime, e che stiamo assistendo ad alcune conseguenze immediate – in particolare a dei licenziamenti».
[….]
Perché Doug Jones ha vinto le elezioni speciali per il Senato in Alabama? Quanto ha contato il movimento “Me Too”?
«Il voto afroamericano è stato cruciale per portare Doug Jones alla vittoria. Secondo un sondaggio della Cnn, il 30% dell’elettorato era afroamericano e il 98% delle donne nere ha appoggiato Jones. Perciò in particolare il voto afroamericano femminile ha aiutato Jones a vincere. Penso che #MeToo sia stato un fattore, sì, ma uno fra tanti».
Quando la senatrice democratica Kirsten Gillibrand ha menzionato, oltre agli scandali di Trump, quelli di Bill Clinton, è stata criticata da altri nel suo partito. Non è necessario guardare al di là delle appartenenze di partito per affrontare questo problema?
«Al New York Times, cerchiamo di seguire la questione da ogni angolo, individuale, comunitario e nazionale (politico). Dobbiamo essere accurati nella copertura delle notizie, facendo luce su ogni livello: dai gradini di potere più elevati a quelli più bassi, dalle denunce importanti a quelle anonime e senza voce. Dobbiamo anche esaminare settori diversi. Stiamo facendo in modo che i potenti non possano passarla liscia, ma dobbiamo anche analizzare da vicino quello che succede in ambiti lavorativi meno prestigiosi e alla moda, negli impieghi di media amministrazione, nell’industria dei servizi come ristoranti e hotel, fabbriche e così via».
I molestatori sono dinosauri di un’altra era? C’è un cambiamento di atteggiamento negli uomini può giovani?
«Per la prima volta da lungo tempo — forse da sempre – la gente sta davvero prestando attenzione a come si comporta e ponendo domande sulle ripercussioni dei propri atteggiamenti non solo su se stessa, ma anche sugli altri. Penso che molti uomini siano rimasti scioccati nello scoprire le situazioni che molte donne si trovano ad affrontare. La parola che continuiamo a usare è: resa dei conti. Sembra davvero una resa dei conti. Abbiamo risposto lanciando una newsletter “The #MeToo Moment” finalizzata ad aiutare i lettori ad orientarsi attraverso la valanga di notizie».
Dopo il caso Weinstein, le è capitato di avere conversazioni con uomini che non capiscono la differenza tra fare un complimento e molestare? O che temono che gli scandali sulle molestie segneranno la fine dell’erotismo?
«Non posso dire nulla su questa idea dell’erotismo, perché questa non l’avevo sentita! Ma certamente ho spesso conversazioni con colleghi maschi e femmine sulle molestie sessuali. Una delle domande che emergono più spesso è: dov’è il confine? C’è un confine? E viene definito dal luogo di lavoro? Il pericolo di tracciare dei confini è che non vengono “vissuti” allo stesso modo da tutti. In altri termini: due donne che subiscono le stesse molestie possono reagire diversamente: una non preoccupandosene troppo, l’altra rimanendo traumatizzata con conseguenze pesanti per la sua carriera».
Che cosa pensa delle reazioni alla storia di Asia Argento in Italia?
«Penso che queste situazioni siano sempre più complicate di quel che sembrano. Ciò che rende queste storie così difficili da capire è che sono sfumate, sono sottili. Può essere difficile enumerare tutti i fattori in gioco, alcuni dei quali sono invisibili. Perciò i giudizi generici sulle persone non sempre sono utili».
Cosa pensa della scelta della rivista Time di riconoscere le “Silence Breakers”, le donne che hanno rotto il silenzio sulle molestie, come “persone dell’anno”?
«Applaudo il loro lavoro! Quel che rendeva la loro copertina davvero interessante era un paradosso che sta alla sua radice: in molti casi le donne non erano state affatto silenziose. Semplicemente nessuno le ascoltava quando parlavano. La mia collega Jessica Bennett ha scritto proprio questo in una recente newsletter e sono assolutamente d’accordo con lei. Questo ci mostra ancora una volta quanto siano complesse queste questioni».
Alcune delle donne che da tempo accusavano Donald Trump di molestie sono tornate a denunciarlo adesso. Pensa che ci saranno delle conseguenze anche per il presidente?
«Il New York Times diede questa notizia nel 2016, e continueremo a seguirne ogni sviluppo».
(La Ventisettesima Ora, 19 dicembre 2017)