di Stefano Ciccone e Alberto Leiss
A che punto è la notte? La notte di una politica che sembra aver smarrito ragione e passione, desiderio di libertà? O forse, prima di tutto, ha perso lo sguardo capace di riconoscere dove e come ragione, passione, desiderio e libertà si manifestano nella crisi che stiamo vivendo.
Un dove e un come che riguardano tanto ciò che ci circonda, quanto ciò che si muove o ristagna dentro noi stessi.
Il punto di vista da cui partiamo è quello di chi pensa che la ragione desiderante e appassionata della politica non possa prescindere dalla radice dei nostri corpi sessuati, e dalla qualità delle relazioni che su questa radice sono più o meno consapevolmente costruite.
E’ un punto di vista che ha alle spalle molti anni di ricerca, di pratica politica tra uomini e tra uomini e donne. E che negli ultimi tempi sconta la sensazione sempre più forte di una impasse. Sembrano venire meno motivazioni e desideri, analisi condivise.
Per un verso i conflitti aperti nelle relazioni vissute diventano più acuti, fino a produrre la percezione della negazione, del misconoscimento dei percorsi compiuti quando non della reciproca violenza, per l’altro i luoghi politici di relazione sembrano ripiegarsi e avvizzire per mancanza di investimento di pensiero e energie.
E’ possibile superare l’impasse? Sentiamo necessaria una nuova riflessione. Una proposta da costruire in un nuovo scambio, con tutte e tutti con cui abbiamo fatto politica negli anni che abbiamo alle spalle, fino a oggi.
Lo scambio ma anche il conflitto, del resto, sono aperti tra noi due.
C’è qualche anno di differenza. Non tanti da misurare il salto di una generazione, ma quanto basta per definire storie diverse nel rapporto con la politica, con altri e altre, col mondo. La differenza tra chi ha incontrato la passione per la politica e la libertà nel ’68, e chi un decennio dopo, dal ’77 ai movimenti degli anni ’80. Abbiamo però condiviso uno sguardo critico sulla mascolinità, cercando in questa chiave di lettura anche una risposta alle derive della politica.
Segnare qui di sfuggita quelle date indica, intanto, che la riflessione e l’elaborazione sulla storia che ci ha determinato forse non è stata ancora compiuta con la necessaria radicalità. A partire da quel doppio taglio che ha visto, quasi nello stesso momento, divaricarsi le pratiche politiche degli uomini e delle donne con il separatismo femminista, e tra gli uomini principalmente, sul discrimine della violenza e della militarizzazione della politica. Per arrivare alla rottura dell’89, e a quella dell’11 settembre 2001 (preceduta dal G8 genovese).
Esiste, su tutto questo, un patrimonio di analisi razionali e di sedimentazione sentimentale condivisa, almeno tra un certo numero di uomini e donne: perché non ha fondato un desiderio comune di politica? E se esiste, perché non ha provocato sinora una visibile efficacia, una presenza riconoscibile nel mondo e nelle esperienze politiche che, spesso, insieme ci troviamo a frequentare?
Scriviamo nel momento in cui, nella notte dei pessimi sentimenti di paura, odio, indifferenza di fronte alla carneficina dei migranti nel mediterraneo, o sui tir nelle strade europee, e alle guerre che vi stanno dietro, si affacciano gesti concreti di solidarietà, di riconoscimento reciproco che rompono con la sensazione di impotenza e con i dispositivi di disumanizzazione dell’altro. Non solo nel discorso del Papa, ma nei gesti di tanti cittadini europei, nella civiltà delle stesse parole di Angela Merkel. Un panorama che non può certo appannarsi nel nostro sguardo. Gesti e sentimenti che non possono essere ridotti a mero contorno della “politica” ma forse indicano una strada per rifondarla. Anche nel nostro paese le esperienze concrete di solidarietà con i migranti, e prima con la Grecia, hanno cominciato a rompere l’immobilismo.
Ma qui intendiamo ripercorrere, brevemente, un tragitto che ci ha accomunato. Almeno da quando – a partire dalla metà degli anni ‘90 – ci siamo incontrati nei luoghi in cui alcuni uomini intenzionati a fare i conti criticamente col patriarcato avevano cercato uno scambio con più donne che quei conti già li avevano aperti e fatti da tempo, conquistando nuova forza in soggettività, capacità di trasformazione, libertà.
Eravamo con altri impegnati nell’allargamento dell’esperienza di maschileplurale, specialmente dopo l’interesse raccolto dal testo del 2006 “La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo la parola come uomini”: un percorso pensato costitutivamente in relazione con il femminismo e con la politica delle donne.
Era infatti cresciuta parallelamente una rete di luoghi di pratica politica e di incontro nei quali il punto principale “all’ordine del giorno” era la costruzione di nuove relazioni tra donne e uomini, consapevoli della differenza e della propria parzialità, con l’idea che da questo incontro-scontro avrebbe potuto nascere una nuova politica. Una politica di tutte e tutti, proiettata al superamento del simbolico patriarcale, alla messa in discussione delle costruzioni sociali e linguistiche che imprigionano diversamente la vita di donne e uomini, il “verso” che effettivamente andrebbe “cambiato” anche per produrre trasformazione sociale, cambio di civiltà.
Ci siamo a un certo punto interrogati, interrogate, se questo incontro potesse avvenire sospinto da eros, da un effettivo desiderio, e non solo da una (meno impegnativa e problematica?) alleanza. L’interrogativo sembrava nascere a un punto alto dell’elaborazione e della pratica comune, pur tra limiti e resistenze, da una parte e dall’altra.
Poi si sono verificati una serie di passaggi bruschi.
Dopo l’energia espressa dall’incontro del femminismo italiano a Paestum 2012, l’anno successivo la proposta di un coinvolgimento maschile a Paestum 2013 ci ha diviso. Molte donne hanno reagito negativamente a quella proposta, pur senza negare in diverse posizioni l’interesse a proseguire in altri luoghi il confronto. Abbiamo pensato che non fosse il contesto giusto: una presenza maschile vissuta come “imposta” anche solo a una parte delle partecipanti non sembrava la premessa utile per tentare un salto politico e simbolico sul piano delle relazioni politiche tra i sessi.
Una valutazione errata? Un’occasione – per quanto prevedibilmente conflittuale – perduta?
Ci sembrava piuttosto il momento per avanzare una proposta che partisse da noi, per andare oltre il terreno dello scambio sulla violenza maschile. Azzardare che quel salto potesse avvenire provando a ripartire da nuovi desideri degli uomini. Volgendo lo sguardo ai mutamenti in corso nella paternità, al rifiuto dei meccanismi del potere (a certe nuove forme di estraneità maschile verso la politica data, nei partiti, nelle istituzioni?), ai nuovi modi di vivere la propria sessualità e il corpo. Facendo tesoro anche di una improvvisa inedita presa di parola pubblica maschile sullo scandalo della scena potere-sesso-denaro aperta da un presidente del consiglio. In definitiva alla ricerca di una diversa libertà degli uomini.
Una verifica parziale è venuta dall’incontro promosso da alcuni di maschileplurale presso lo SCUP di Roma (marzo 2013). Un incontro ricco: donne e uomini di tante città riportarono lì il proprio desiderio di una ricerca comune, la propria curiosità, la spinta derivante da percorsi già condivisi. Ci sono rimaste impresse due diverse, quasi opposte, reazioni venute dalle amiche che avevano accettato il confronto.
Sì, è possibile un incontro che riconosca nuove modalità in cui può esprimersi il desiderio maschile di “fare mondo”.
No, il tempo non è ancora venuto: certo siete qui bene intenzionati, ma siete pochi, non si vede un “movimento” di uomini la cui presa di coscienza e i cui comportamenti possano far pensare a qualcosa di simile a quanto è avvenuto, tra le donne, con il femminismo.
Forse non abbiamo saputo raccogliere entrambe queste indicazioni, sollecitazioni, con i tempi, la capacità di rimetterci in gioco, e il metodo necessari.
E’ poi intervenuto un inciampo che vogliamo nominare. La violenza è ricomparsa da padrona, con il caso di un amico di maschileplurale accusato da una donna di aver esercitato su di lei violenza psicologica. E’ qualcosa che ha terremotato le relazioni tra noi uomini, tra donne e uomini, e che ci ha fatto capire che andare oltre il terreno della violenza, come ci proponiamo, non consente nulla che possa apparire una sottovalutazione. Ma al tempo stesso ha mostrato come cercare una radicalità nel confronto con la violenza non possa divenire ricerca di estraneità o rimozione della complessità e anche della dimensione controversa delle relazioni e dei vissuti. La discussione e l’elaborazione tra noi resta aperta, e riguarda il modo di vivere, di nominare e di combattere la violenza, che non può essere mai considerata – lo abbiamo sempre detto – come qualcosa che non ci appartiene. Si conferma la necessità di riconoscere la dimensione pervasiva della cultura che genera la violenza, e di costruire luoghi in cui sia possibile uno scavo nell’immaginario, nelle aspettative e nelle rappresentazioni di donne e uomini capace di svelare le nostre complicità e contraddizioni
Crediamo che questa vicenda rivesta per tanti aspetti un valore politico generale. La questione politica sono i nessi tra potere, forza, violenza, sessualità: affondano nella soggettività maschile così come storicamente si è determinata, e si allargano – ipotesi da verificare? – a tutte le altre forme di violenza, fino alla violenza bellica.
Questa vicenda ha messo in luce, una volta di più, le difficoltà e i limiti della ricerca di un’altra libertà maschile, ma anche – secondo noi – la corposità delle resistenze femminili all’esperienza di quell’incontro e a un investimento politico pieno.
Tra l’altro con un singolare paradosso e una significativa coincidenza.
Il paradosso è che laddove le relazioni politiche tra uomini e donne proseguono un percorso, per quanto difficile e conflittuale, ciò avviene in grande misura proprio sul terreno delle iniziative che si propongono di affrontare e arginare la violenza maschile. Qui si manifesta concretamente la spinta a una nuova “alleanza”.
Nello stesso tempo è su questo stesso terreno che emergono la diffidenza e il giudizio negativo più forti da parte di alcune donne. Quasi che, dopo aver giustamente denunciato il lungo silenzio maschile, ora che una parola e una pratica politica viene tentata, essa susciti più diffidenza che ascolto. Forse perché necessariamente implica anche uno spostamento femminile?
Paradigmatica è la questione dell’atteggiamento da assumere nei confronti degli uomini che agiscono la violenza. Affrontare il tema del rapporto con loro significa rischiare che gli uomini tornino al centro, quasi apparendo anch’essi “vittime” della cultura patriarcale?
O non significa invece, soprattutto da parte maschile, guardare in faccia la violenza, farne l’esperienza necessaria per una trasformazione reale del sé, per bandire i rischi di rimozione?
La coincidenza è il venire meno, nei fatti, di quelle esperienze e di quei luoghi di pratica politica comune che ci hanno accompagnato per lunghi anni. Certo, le cose spesso finiscono senza che sia immediatamente percepibile il perché, e tuttavia, oltre a indagarne – se lo si desidera – i motivi, le cause, è necessaria quanto meno una presa d’atto.
Se ne potrebbe dedurre – in modo del tutto schematico – questa conclusione: quell’incontro registra uno scacco. E’ necessaria una nuova fase di pratica politica e di ricerca confinata, sostanzialmente, nel ‘tra donne’ e nel ‘tra uomini’. Forse nemmeno questo, perché il “tra uomini” fa comunque problema: vi si scorge facilmente l’ombra inquietante del “branco”. Aveva dunque ragione Valerie Solanas: “fatevi una buona volta da parte, lasciate fare a noi”…? Lo statuto simbolico delle relazioni di differenza, in ogni caso, è ancora troppo acerbo?
Crediamo che le cose non stiano così. E che la elaborazione dei conflitti aperti non possa avvenire senza la ricerca di uno scambio tra uomini e donne che metta alla prova comune le acquisizioni che contestualmente si producono nei luoghi “separati”.
Proviamo a cambiare il punto di partenza. Abbiamo ricordato, per sommi capi, una storia di relazioni, di conflitti, di distanze, di fraintendimenti. Crediamo che per tentare di riavviare un confronto sia più proficuo riconoscere e investire ciò che si è sedimentato per guardare all’oggi, alle domande che una fase politica globale in tumultuoso movimento pone a ciascuno e ciascuna di noi, alle esperienze e pratiche politiche in cui siamo diversamente impegnati/e, per lo più vivendo acuti sentimenti di inadeguatezza, di mancanza.
Ecco, riflettiamo piuttosto su che cosa ci manca, se è vero che la mancanza è compagna del desiderio.
Per noi questo significa anche dare corso a un proposito emerso negli ultimi incontri di maschileplurale, condiviso con altri: aprire un nuovo spazio, luogo di incontro e confronto, pensato insieme tra quelli e quelle che lo desidereranno.
Ciò che ci manca, ci interroga, è in fondo semplice da indicare:
che cos’è politica
come viviamo il desiderio, il corpo, le relazioni
come viviamo paternità e maternità
cosa sono il potere, l’autorità, la violenza, la cura
Come mettiamo tutto questo in relazione a ciò che succede nel mondo e alla nostra volontà di cambiare lo stato delle cose presenti.
Come riusciamo, donne e uomini insieme, a declinare radicalità e complessità, conflitto e misura nella dimensione contraddittoria e perturbante delle relazioni, soggettività e riconoscimento delle nostre complicità con un ordine che tentiamo di mettere in discussione.
Il luogo di incontro potrebbe partire nella città di Roma. Roma, la città corrotta, la città del potere, la città dei due papi, della grande bellezza.
Un contesto da cui ricominciare?
da LEGGENDARIA N.113/2015. CIAO, MASCHI