28 Luglio 2013

“Uomini e donne: Che fare?”

Intervento introduttivo all’incontro organizzato il 7 Luglio 2013 presso la Libreria delle donne di Milano

di Sara Gandini


Noi siamo nate politicamente alla Libreria delle donne di Milano. Sappiamo che riconoscere valore alla genealogia femminile è ciò che ci dà forza. E allo stesso tempo sappiamo quanto sia importante non consegnarsi completamente all’autorità. Sappiamo quanto sia importante – l’abbiamo imparato qui – saper reggere i conflitti con le donne cui riconosciamo autorità, e non rinunciare alla propria verità.

E sappiamo anche affrontare la fatica di assumerci quest’autorità, quando occorre.

Siamo inoltre consapevoli che le conquiste non sono mai date definitivamente e vanno riconquistate ogni volta, ma questo momento storico non è come quando il femminismo sorgivo doveva nominare e significare pratiche impreviste.

Anche per noi il motore primario è una passione politica che ha a che fare con l’amore per la libertà femminile, con il desiderio di relazione, prima di tutto tra donne.

Ma ciò che ci muove nel fare politica è anche il desiderio di relazione con gli uomini, perché il desiderio nasce dalla mancanza. Ovviamente non c’è simmetria tra il femminismo sorgivo e la nascita di relazioni politiche con gli uomini, ma dalla storia delle donne abbiamo imparato che ciò che muove, quando si fanno salti simbolici importanti, è sempre il desiderio.

Per questo vorrei iniziare anch’io raccontandovi del nostro percorso di uomini e donne venuti dopo il femminismo, e radicati in una pratica politica femminista.

Ci siamo chiamati intercity-intersex perché l’ironia era una delle leve cui abbiamo tenuto per non farci spaventare dalla sfida che avevamo davanti. Non avevamo un obiettivo specifico, una progettualità concreta su cui puntare, avevamo solo il desiderio di relazione che ci muoveva.

Qualcuna di noi all’inizio non voleva sentir parlare di incontrarsi in un gruppo misto. Ma poi l’affidarsi prima di tutto alle relazioni tra noi donne ha permesso un’apertura imprevista a questo progetto, che ha arricchito lo scambio tra noi.

Una delle leve della nostra pratica era la discussione in presenza, in cui al centro c’era prima di tutto quello che capitava tra noi, nelle relazioni tra noi. Lo scambio era spontaneo mosso da quello che ci premeva al momento, quello che capitava nelle nostre vite. Un’altra delle leve è stata il fatto di esserci scelti, nome per nome. Eravamo consapevoli di portare avanti una sfida politica alta. Avevamo la sensazione di stare su una frontiera di cui si vuole spostare il limite.

Ci siamo creati uno spazio che prescindeva da quello che pubblicavano i giornali, un luogo in cui ci orientavamo, trovavamo le nostre parole, le nostre priorità. Ci siamo resi conto che l’unico modo per trasformare il mondo era quello di coltivare luoghi di questo tipo.

Grazie a Carla Lonzi avevamo la consapevolezza che le questioni personali e intime avevano valore nel momento in cui riconoscevamo una politicità alle singolarità, anche se il senso politico va di volta in volta riconquistato, quando si vuole tenere insieme il personale e il politico, quando si sa l’importanza dell’autocoscienza ma si è al tempo stesso mossi dall’urgenza di esserci e intervenire sul mondo.

Ci siamo interrogati a lungo sulla questione del dentro e il fuori, come giocare la ricchezza della nostra riflessione nel mondo, come farne una risorsa di fronte ad uno scenario politico ad un’impasse. E allo stesso tempo sentivamo che se non c’era continuità con la nostra vita, dalle relazioni d’amore al lavoro, dubitavamo di riuscire a dare un taglio politico profondo al nostro scambio.

Tutto questo percorso ha portato prima di tutto a conquistare fiducia nelle relazioni tra noi, una fiducia per nulla scontata. Abbiamo sperimentato che potevamo anche agire conflitti con passione, ma le relazioni non erano in discussione. Non tra tutti, non sempre, ma la qualità delle relazioni e dello scambio è sempre stata posta prima di tutto.

Certamente avevamo chiaro che le pratiche e le domande che affrontavamo erano il cuore della politica femminista. La novità è viverle nelle relazioni duali, tra uomini e donne, e nel fatto che ora questi temi possono essere al centro di una pratica condivisa tra uomini e donne.

Ci siamo presto resi conto che mettere a tema le relazioni politiche tra donne e uomini, a partire da un desiderio di relazione, introduceva il tema dell’erotismo e dei corpi, da cui non si può prescindere. E questo sappiamo che non è semplice perché nel mondo c’è un uso strumentale e brutale dell’erotismo tra donne e uomini, giocato al ribasso, sulla miseria simbolica dei corpi.

In questi giorni ad esempio ho visto dei video su youtube che mi hanno molto scosso: domenica 30 giugno a il Cairo sono stati denunciati ben 46 stupri, avvenuti durante le manifestazioni anti-Morsi. La tattica sembrava essere sempre la stessa e ha un nome: “circolo infernale”. Prevede infatti la partecipazione fino a qualche centinaio di uomini, organizzati in cerchi. Lo stupro di gruppo si consuma nel cerchio interno. Nel centro intermedio vi sono uomini che fanno finta di voler aiutare le vittime, che non sanno più di chi fidarsi…Si trattava dei loro compagni di lotta?

Ma anche a casa nostra quotidianamente si parla di femminicidio e di violenza sulle donne sui media mainstream e su internet. E sappiamo che gli autori di questa violenza sono padri, mariti, fidanzati, amanti…

Questo immaginario negativo è estremamente potente, sembra quasi non lasciare spazio per altro se non il senso di impotenza o la negazione.

Anche noi infatti abbiamo iniziato i nostro primi incontri parlando di violenza sulle donne, ma poi abbiamo capito che dovevamo lasciare spazio per altro, dovevamo far emergere il nostro desiderio e le potenzialità del positivo, anche se non era facile.

L’attrazione, l’eros, il desiderio di relazione sono stati nominati fin dall’inizio come aspetti su cui volevamo puntare. Primo perché sapevamo che nominare solo la relazione di cura per noi significava tirarsi fuori dalla relazione vera. E poi perché non ci bastava nominare la relazioni tra i sessi come una necessità, affermando che il rapporto con gli uomini sarebbe necessario per costruire una convivenza più civile, non segnata dalla violenza. Si tratterebbe di una necessità finalizzata a un obiettivo nobile ma, se non sorretta da un reale desiderio di incontro con l’altro, diverrebbe di corto respiro.

La mediazione maschile nel mondo che alcune di noi chiedono agli uomini non può prescindere dalla realtà della relazione. Più volte abbiamo affrontato in interventi pubblici il tema dell’eros perché sappiamo che si tratta di una forza che trascina, che rende inventivi. L’esperienza dell’erotismo è legata alla necessità dello scambio con l’altro, al sentimento del non bastarsi. Lo sanno bene le donne, con l’esperienza del femminismo degli anni ’70.

Tra donne però ha fatto ordine la figura della relazione madre-figlia, mentre tra donne e uomini la figura dei fratelli e sorelle è stata scartata fin da subito perché abbiamo capito che neutralizzava un’energia che sapevamo essere catalizzante. Allo stesso tempo abbiamo visto che nominare l’eros faceva problema perché immediatamente compare la figura eterosessuale della coppia, con tutto l’immaginario che si porta dietro: Le relazioni duali tra uomini e donne non trovano una rappresentazione sulla scena pubblica, politica.

Ci siamo chiesti se il fatto che stentino ad emergere relazioni duali tra uomini e donne, che sappiano modificare l’immaginario, che sappiano ridisegnare la scena pubblica, abbia a che fare con la mancanza di figure di riferimento che sappiano mantenere la complessità e l’energia. Infatti spesso vengono nominati i gruppi, luoghi, eventi, che lasciano le relazioni nell’indistinto e non hanno la stessa forza dirompente di relazioni in cui un uomo e una donna si scelgono e puntano sulla relazione per acquisire forza, grazie al riconoscimento di autorità.

Ed arriviamo al tema dell’autorità, che è una questione complessa, perché nel nostro caso coinvolge i rapporti con chi è venuta prima di noi, e ha messo al mondo il femminismo, e anche tra noi, tra uomini e donne, eredi di pratiche non inventate da noi.

Mi riferisco al concetto di autorità così come ne parla Luisa Muraro nel libretto appena uscito intitolato appunto Autorità. Luisa scrive “coltivare il senso dell’autorità è una scommessa in favore di qualcosa di meglio per l’umanità e la civiltà, consapevolmente alternativa al culto del dio potere”. Può agire senza i mezzi del potere e del dominio, ma ha bisogno della libera fiducia nella relazione, e si rinnova di volta in volta.

Con questo incontro noi ci assumiamo la responsabilità e l’autorità di narrare e nominare relazioni feconde tra uomini e donne, con i nodi e le contraddizioni irrisolte che segnano il nostro percorso.

Marco Deriu entra direttamente in tema, nel suo testo intitolato “Un’autorità sgombra dal potere. Relazioni e conflitti di riconoscimento nella transizione della mascolinità” pubblicato nel libro collettaneo Silenzi scrivendo che il problema dell’autorità per gli uomini è che nella loro testa quest’idea è intimamente collegata al tema della gerarchia, del potere e del comando. E’ come se non ci fosse più uno spazio simbolico agibile per un’idea di autorità maschile se non in senso deteriore.

All’inizio sottolinea l’alienazione tipicamente maschile in cui gli uomini si perdono in una ricerca senza posa di riconoscimento collettivo, che va dalle preferenze elettorali alla quantità di lettori, o dire io, alla conta del numero di partecipanti a manifestazioni e iniziative. Mostrando una mancanza di radicamento verso i rapporti più intimi e la perdita di sé.

Tuttavia rilancia, nominando il desiderio di indagare come si può rigiocare il tema dell’autorità in termini più liberi e positivi nelle relazioni tra uomini e donne.

Inoltre Marco lancia uno spunto di riflessione interessante quando, raccontando alcune esperienze concrete dei gruppi di uomini che lavorano sulla violenza maschile, sottolinea che è più facile essere uniti nella critica, e presa di distanza dalla violenza, ma è più difficile far spazio e valorizzare ciò che accade di nuovo e di positivo nelle nostre vite e nelle nostre relazioni.

Dobbiamo dire che in ogni caso, rispetto all’autorità, c’è un’asimmetria importante tra il movimento femminista e il percorso che sta facendo Maschile plurale. Il femminismo ha potuto riconoscersi in un orizzonte di libertà, da una posizione di sottomissione, mentre l’esperienza maschile non ha potuto e non deve poter dirsi estranea alla storia del proprio genere, che è una storia di dominio. Infatti il lavoro di Maschile Plurale è stato per tanti anni rivolto a superare la miseria di questa storia e delle sue rappresentazioni. Ma bisogna fare i conti con una diffidenza profonda, che forse solo le relazioni tra i sessi forse potranno cambiare: la diffidenza degli uomini verso se stessi, da cui nasce la società maschile. Si tratta di una diffidenza che ostacola la trasformazione, che non va rimossa ma trasformata in qualcos’altro di cui prendersi cura.

Invitare Marco Deriu, Stefano Ciccone, Alessio Miceli, Claudio Vedovati e Giacomo Mambriani, ma non solo, promuovere ora questa iniziativa con loro, in questo luogo che rappresenta per noi il luogo dell’autorità femminile, per Laura Colombo e me ha significato mostrare il valore del percorso fatto insieme, e allo stesso tempo significa mettere sulla scena pubblica relazioni tra i sessi in cui gira autorità e fiducia e un sapere che ci fa crescere e stare nel mondo con più forza. La nostra scommessa è che le relazioni in cui la differenza e la disparità vengono messe al centro dello scambio possano modificare l’immaginario e far emergere nuove figure dello scambio. La nostra scommessa politica è che questa sia una risorsa, non solo per chi ha desiderio di relazione con gli uomini, ma anche per chi ama stare nel separatismo o non ha un grande desiderio di scambio, nella speranza che grazie a queste narrazioni si possano intravvedere altre strade.

Un po’ come quando Laura mi diceva che aveva potuto affrontare il suo desiderio di maternità quando aveva visto in me un modo nuovo di essere madre.

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