Milano, mercoledì 6 marzo 2013 ore 18.30, Circolo della rosa – Libreria delle donne
Nonviolente non arrese è il titolo che apre il nuovo numero di Leggendaria (97-98, gennaio 2013). Firmano la presentazione Mariella Gramaglia, Matilde Passa e Bia Sarasini. Il numero è una serrata discussione sul tema della violenza per estrarre la nonviolenza da usi strumentali e rappresentazioni diminuite. E ripresentarla nella forma autentica di azione politica. Con una intervista alle famose Pussy Riot. E all’autrice di Dio è violent, Luisa Muraro.
(Trascrizione a cura di Serena Fuart delle parti registrate degli interventi, non riviste dalle intervenute)
Luisa Muraro presenta le ospiti e il numero:
C’è Bia Sarasini, non è la prima volta che viene qui ed è conosciuta. Qualcuna di noi conosce anche Silvia Neonato ed è anche lei della redazione di Leggendaria. Sono entrambe giornaliste. Io sono della Libreria delle donne, sono qui come parte in causa, adesso introduco il numero di Leggendaria e faccio un’interrogazione-provocazione a loro due.
Il numero, come tutti i numeri ma più degli altri, è doppio e ricco, ci sono tantissime questioni. C’è un bel ricordo di Ivana Ceresa: donne di Bologna parlano di Ivana Ceresa, ne dicono cose toccanti. Un’altra parte che mi ha colpito è stata la recensione che Luciana Tavernini fa alla biografia di Graziella Bernabò di Elsa Morante. Ci sono più articoli che la riguardano, abbiamo festeggiato il centenario della nascita. Ancora, mi ha interessato una serie di articoli del Brasile e tra questi c’è una firma che ricorre, che non conosco, che ha scritto anche un bel pezzo su Clarice Lispector. Poi ci sono tantissime recensioni, per noi libraie è una miniera. C’è un articolo di Bianca Tarozzi dedicato al Giulia Niccolai che è stata ospite qui e ci ha parlato delle poesie di Bibi Tomasi con un’insolita severità. Ha attirato la mia attenzione un articolo dedicato all’associazione Terre Mutate di donne dell’Aquila che io ho incontrato politicamente per una questione che ho affrontato su Dio è violent e che poi ho incontrato amicalmente a Modena con una promessa reciproca di nuovi incontri.
Vengo alla parte di apertura di Leggendaria: Non violente non arrese. Vorrei leggere una mail che è arrivata ieri da Vicenza da una donna dell’associazione Donne in rete per la pace. Lei fa riferimento al movimento No Dal Molin, è una delle tante associazioni impegnate contro la base militare: ci sono oltre le donne del presidio, altre che si sono staccate dal presidio e si sono messe nell’associazione Femminile plurale che comprende medici, vari cittadini, donne e uomini associati a questa lunghissima lotta che non è più per impedire la base perché è in costruzione ma per combattere contro la politica di guerra.
«Buongiorno a tutte e grazie per le vostre segnalazioni! Peccato che siate lontane… Questo incontro mi interesserebbe moltissimo (sono sette anni che lottiamo in modo nonviolento contro la nuova base militare statunitense Dal Molin) ma purtroppo non ci posso venire. Per caso farete un verbale, una trascrizione di questo incontro? In cambio potrei trovare il modo di condividere un power point che ho preparato per la serata che faremo al presidio No Dal Molin la sera del 9 marzo (lo abbiamo chiamato The day after). Nel file abbiamo raccolto dai vari spezzoni di gruppi donne che hanno agito in questi anni in resistenza alla base 300 diapositive in ordine cronologico che ricostruiscono la ricchezza e varietà di iniziative che abbiamo messo in atto. L’intento non è certo autocelebrativo (specie vedendo i risultati che ci offendono la vista ogni giorno) ma atto a rafforzarci per continuare a esprimere la nostra profonda opposizione a questo spreco di paesaggio, risorse economiche, ambiente, umanità… Anche noi nonviolente non arrese!»
Una cosa che viene detta in questa prima parte di Leggendaria è vera: ci sono donne e uomini che si impegnano politicamente assumendo la divisa della non violenza.
Questo viene detto polemizzando con me e vengo a Dio è violent che è motivo, occasione, pretesto per queste pagine dedicate alla non violenza nella politica delle donne. Mi è stato detto una volta: «Se c’è un merito che va riconosciuto al libro di Luisa Muraro Dio è violent, è di aver smosso acque stagnanti dopo le dichiarazioni fin troppo solenni nel passato». Matilde Passa, Stefano Ciccone, Bia Sarasini mi chiamano in causa come un pretesto oppure sono convinte che Dio è violent stia su una posizione politica che non intendono condividere – Ciccone sicuramente – e io stavo quasi per stare in questo schema. Mi ero anche preparata per spiegare punto per punto. Invece ho capito che sono più le recensioni che ha avuto Dio è violent a provocarle a entrare in queste tematiche con questa passione e con questo interesse. Il libro è stato molto ripreso. È vero che ho giocato con il titolo, che non è mio ma ho accettato. Ho accettato di sfiorare il tema della violenza ma non pretestuosamente. Il librino è stato scritto per un’altra questione, non pensando a queste reazioni. Il mio intento era e resta di usare (e la parola, usare, è di Clarice Lispector) la politica delle donne e la crepa che questa ha aperto nella storia della società della democrazia (che puntava sull’emancipazione e che vi punterebbe ancora), di usare la differenza della politica delle donne, la storia delle donne che il pensiero femminista ha messo in luce e in evidenza, per mettere in rilievo la storia di sopraffazione del contratto sessuale, dove ogni tanto comparivano anche uomini che erano furiosi e indignati per il modo in cui lo stato moderno democratico aveva riorganizzato le faccende in senso di subordinazione di sottomissione e di rendere le donne complementari e non libere. Questo materiale è esploso nella cultura e nella società. Tutto questo per scambiarlo contro le politiche di guerra e pacificazione delle masse, di esautoramento di quello che è il vero spirito della democrazia. Siccome il patto sociale – che ora non c’è più mentre c’è stato un tempo in cui era in auge – aveva sempre escluso le donne, resta nella teoria, di fatto accettiamo il monopolio della forza che è nelle mani dello stato. E la politica internazionale che è diventata pura politica di forza secondo la politica economica che è diventato puro affare di dispositivi economici che di democratico non hanno assolutamente nulla. Insomma volevo usare le donne, la loro dirompenza, per attaccare le fondamenta fasulle della politica estera e interna. Questo era il mio intento e sono stata spostata, non da loro, di Leggendaria, ma dall’accoglienza del librino sul tema della violenza. Mentre su questa questione non volevo entrare nel merito. La mia posizione è quella di Simone Weil che dice che la non violenza è buona se è efficace. La condivido, la posso anche discutere, prima di scrivere il librino ho letto tanti teorici della violenza. Non ho letto quelli della non violenza perché io volevo lavorare contro Bertinotti – che aveva fatto dichiarazioni in cui si rinunciava alla violenza – non come uomo ma come simbolo di una cultura politica ormai corrente, antiviolenza: l’ipocrisia della sinistra italiana. Sono stata spostata su quel terreno e Leggendaria vuole fare un discorso sulla forza politica ed efficacia possibile dove le giovani donne affrontano la questione della non violenza e hanno cose da dire. Ci sono anche interviste che fanno vedere un paesaggio di donne e uomini, soprattutto donne, che condividono questa cosa. Ho una critica a Ciccone. Ciccone insiste che la violenza è qualcosa di propriamente patriarcale, ma il femminismo non ha accettato che si pensi che l’essere donna e femminista voglia dire evacuare il fatto della violenza. Questo sminuisce il senso della presenza femminile e pacifica delle donne. Se c’è una presenza pacifica delle donne ma è a priori escluso che possa essere violenta, è sminuito il valore della sua scelta politica. È stato detto e ridetto, e quelle di Leggendaria devono rispondere perché lo pubblicano e gli hanno dato evidenza.
La seconda critica riguarda un problema: secondo me per ragionare su questo argomento non si può mettere le manifestazioni pacifiche sindacali accanto all’azione politica non violenta. I sindacati adottano forme pacifiche perché andare allo scontro fisico sarebbe da sconsiderati. Non hanno fatto la scelta della non violenza, queste persone non escludono che se è necessario useranno anche le armi e la forza bruta: se l’altra parte impianta un regime fascista sono esonerati e io pure dalle forme pacifiche.
Silvia Neonato
Il tema scotta, non ho scritto, non avevo tempo di scrivere. Sono grata a Luisa di avermi fatto venire voglia di pensare alla non violenza. Ricordo la volta che ho sentito dire che le donne sono naturalmente non violente, a metà anni Sessanta, credo sia successo nella sede dell’Udi: ho pensato che non ero d’accordo e tra me e me avevo pensato allo sport agonistico che ho praticato. Da ragazza sono stata una combattente sportiva, non mi fa paura vincere mi fa più paura perdere, ho sempre avuto queste categorie in testa. Nella staffetta ci veniva detto: dovete odiare l’avversaria. Io pensavo quanto questo alimentasse spirito di squadra e volontà di vittoria… Volevo essere come loro, portare a casa il risultato, come loro non avere paura ecc. Dico questo perché non credo, non ho mai creduto che le donne non amassero la violenza. Il primo risultato che ha avuto su di me quella frase è stato di andare a intervistare una partigiana che aveva combattuto, intervista finita nel libro di Ida Farè Mara e le altre. Gliel’avevo proposta io perché c’era la questione della donna con le armi che si era trovata a sparare dopo che le avevano ucciso il fratello. Voleva rendere ciò che aveva subito. Credo allora che la non violenza sia una scelta. Quando sono stata a Buenos Aires dove si radunano le Madres mi ha colpito la sacralità… quelle donne sono coraggiose e hanno forza. L’indagine sulla forza mi cattura di più rispetto a quella sulla violenza. È come se ci fosse un buco nero, una forza che attrae chiunque: quelle donne stavano là immobili con una forza sovrumana, in maniera non violenza. Il tema della non violenza mi attrae enormemente e parto da una frase del libro di Luisa: «Chiunque abbia avuto occasione di riflettere sulla storia e sulla politica non può non essere consapevole dell’enorme ruolo che la violenza ha sempre svolto nella storia umana». La violenza sembra così scontata, la forza no. La cosa su cui vorrei riflettere è come trovare la forza di gestire i molti conflitti che le donne occidentali hanno davanti.
C’è un percorso. Se penso alle donne dell’Udi impegnate nelle battaglie per la pace contro l’atomica…, ma avendo partecipato io come giornalista di Noi donne a un convegno a Praga di donne che venivano dalla marcia della pace e avendo visto trascinare via dal palco con la forza una banda di Hiroshima perché aveva dissentito… se penso a quella generazione che non ho vissuto, ho solo letto… mi trovo davanti donne che facevano della pace una bandiera e che trascinavano via le altre. Siamo nella guerra fredda. Quel pacifismo non mi aveva convinta. Mi sembrava di parata. Pensavo che era un rituale falso e stantio. Oggi quello che ho ricavato è l’idea che quello su cui ho voglia di lavorare io è come trovare la forza per i conflitti.
Bia Sarasini
Avevamo un desiderio stimolante di discutere Dio è violent perché c’era una forte condizione non violenta che volevamo andare a vedere. In questo titolo Non violente non arrese abbiamo colto il problema della passivizzazione. Volevamo vedere quali sono le pratiche. Il titolo dice la polarità nella quale ci siamo trovate. C’è una non violenza che non significa una resa, l’altra polarità era non passive non violente. A me è sembrato che facessi tuo negli esempi il punto di vista di chi fa della non violenza una predicazione come lo stato attuale della non violenza. E quello non è la non violenza.
Luisa Muraro. Il paradosso è quando mi si imputa l’esempio di quella giovane donna paralizzata dallo spettacolo della violenza come se io avessi voluto portarla come esempio della non violenza. Sto parlando del problema che hanno donne e uomini della disponibilità della nostra forza, di acquistarla. Lei era indignata e paralizzata. La politica è andare al conflitto.
Bia Sarasini. Il pamphlet si presta a dei fraintendimenti. La domanda è: come si fa a combattere? Io inizio con un’immagine di donne armate perché non voglio dire che le donne sono pacifiche per natura e penso che la non violenza è una scelta. La mia opzione è non violenta ma ho molte domande. Non far coincidere la non violenza con la passività è un problema con tutto quello che sta avvenendo. La passivizzazione è reale sia per le donne che per gli uomini.
DISCUSSIONE
Liliana Rampello. Se c’è un pamphlet che, da vari punti di vista, è così fortemente frainteso qualche domanda te la devi fare, Luisa. Tu, in prima persona, hai permesso un’anticipazione! Non vorrei essere presa per scema per quello che ho pensato, ci sono delle ragioni. L’anticipazione rafforzata da un’intervista ha dato la possibilità fondata di leggere il pamphlet anche in quella direzione. Le posizioni di Non violente non possono essere riassorbite dalla predicazione sulla non violenza.
Marisa Guarneri. Do il benvenute alle mie amiche con cui ho trascorso tanto tempo che non era per niente pacifista. Rispetto al libro di Luisa, penso che sia un libro che la violenza la previene. Questa è l’impressione che mi ha fatto. Io vivo da tanti anni dentro la retorica dell’antiviolenza. Credo che poco ha a che fare il libro con il discorso del pacifismo ma molto con il discorso dell’antiviolenza, della retorica dell’aggiustamento, dell’accomodamento che politicamente si è fatto nella violenza… Questo libro non soltanto in me ma anche nelle donne con cui lavoro ha suscitato una grande passione che in qualche modo ci offre una via d’uscita quando accogliamo le donne che arrivano da noi con dentro di sé la convinzione che la passività sia cosa positiva tranne quando la forza di sopravvivenza non le porta a reagire. E anche questa reazione è oggetto di profonda riflessione quando facciamo un progetto con loro. Questo discorso del tenere a disposizione la propria forza mi ha colpito e ci ho visto come una via d’uscita e la possibilità di allargare lo sguardo rispetto a quello che capita alle donne perché in qualche maniera non l’abbiamo mai presa veramente in considerazione, ne abbiamo parlato tanto ma non l’abbiamo mai presa in considerazione. E l’antiviolenza tradizionale viene sostituita dalla forza delle istituzioni anche nelle leggi. Si tratta di sempre di leggi di tutela che ti danno strumenti sostitutivi della tua forza soggettiva. Invece questo passaggio ci fa realizzare come le donne vivono e reagiscono alla violenza da un altro punto di vista. Chi fa accoglienza alla Casa delle donne maltrattate fa proprio questa indagine: quando e come la forza delle donne porta a fare determinate scelte piuttosto di stare alle regole, dove per regole si intende stare nella famiglia, non rovinarla, non uscire da determinate situazioni oppure appoggiarsi alle istituzioni. Per me è stata una grande scoperta perché la fascinazione della violenza io credo noi ce l’abbiamo, eccome! I primi tempi che ero alla Casa delle donne la voglia di pestare gli uomini ce l’avevo da morire perché dai racconti che facevano le donne… Lo racconto sempre: mio marito quando mi veniva a prendere, per un’ora non lo guardavo e non lo baciavo. Dovevo rimettermi in sintonia con il maschile perché quello che sentivo mi allontanava. E naturalmente da qui poi passava tutto il ragionamento della piacevolezza del separatismo femminile ecc.
Intervento. Questo del tenere a disposizione fa guarire dalla passività e impedisce che le donne reagiscano male e stupidamente. Credo che valga per tutti il problema di essere reattivi rispetto alla violenza e non essere riflessivi. Ci sono poi strategie. Sicuramente lavorare sul tenere a disposizione la propria forza vorrà anche dire fare i conti con l’aggressività e vedere quando usarla e quando no perché spesso le donne la usano perché è l’unica arma che si giustificano e finisce male. Tenere a disposizione la propria forza è trovare alternative, ma è trovarle dentro di sé non necessariamente all’esterno.
Vita Cosentino. A me questo numero è piaciuto. Mi è piaciuto come è stato trattato il tema nel senso che ho visto delle posizioni non preconcette. Il fatto che ci sia un articolo sulle donne armate rappresenta proprio la capacità di vedere le cose anche che non si condividono. Mi è sembrata una bella discussione. E anche una discussione che ci mette oltre alla questione che le donne sono automaticamente non violente oppure automaticamente passive o salvatrici del mondo e questo già mi pare un tassello importante. E vi parlo di me. Sono una che ha fatto il Sessantotto e non è mai riuscita a tirare una pietra. Poi ho avuto un figlio e non sono mai riuscita a tirargli uno schiaffo. Insomma sono così però mi ritengo una combattente perché sono una che ha combattuto tutta la vita e tutt’ora sto combattendo con questa malattia invalidante che ho. Questo per dire che forse stanno anche strette queste etichette. Prima si è parlato delle Pussy Riot e delle Madres che sono arrivate a quel limite di cui parla Luisa. Le Pussy Riot hanno messo in campo una grande forza però hanno anche fatto vedere come, appunto, ci possa essere una creatività e una vitalità nell’esprimere la propria forza e al limite una violenza: stanno con il passamontagna dentro una chiesa, cioè la loro è una forza molto dura e forse un pochino violenta. Allora forse dobbiamo identificare e sfatare una serie di stereotipi per cui violenza è menare, perché io sono una che non è capace di menare e però ritengo di essere una che usa e ha usato la forza. Mi pare che stiano venendo fuori una serie di punti, tipo la libertà nelle forme di lotta che è anche a misura di quello che una si sente capace di persona di fare.
Sandra Bonfiglioli. Ho ascoltato con molto piacere questa riflessione. Dico subito che non mi era piaciuto come è stato trattato il tema nel libro, invece ho molto apprezzato questo “scivolamento” sul processo di forza. Faccio una critica un po’ generale: parlare della violenza come concetto generale che non parte dall’insieme delle esperienze fa entrare nella categoria violenza/non violenza. Secondo me è una concettualizzazione sbagliata che porta in posti sbagliati dove la difficoltà maggiore è quella di oscillare tra un addomesticamento della violenza e… La violenza è potente perché uccide, altrimenti l’addomesticamento del concetto di violenza secondo me non ha senso. Per tutti noi, soprattutto qui in Europa, la violenza è questo, è la guerra, la guerra santa, ci sono anche le guerre giuste. Non sono mai stata pacifista quindi ho molti timori nei confronti della violenza, va usata solo se è strettamente necessaria e non ho mai creduto che le donne non sono violente. Ho avuto una madre violentissima, sono cresciuta in una famiglia violentissima, ho visto noi donne andare in piazza su battaglie, anche per l’aborto è stata un’enorme violenza… Quando abbiamo lottato per obiettivi a noi cari abbiamo esercitato tutta la violenza che abbiamo pensato fosse opportuna. Finire nella logica violenza/non violenza non ci porta a conclusioni, a un ragionamento. Qual è la domanda nei confronti della violenza oggi? La domanda è: stiamo usando come presenza politica qualche cosa che ci permette di capire che diventiamo più efficaci se usiamo la violenza così per il significato che ha? Io credo di no perché tutta l’opera fatta in questi anni è stata una lotta di civilizzazione basata su un conflitto di natura culturale, etico, di senso perché abbiamo portato più che una conquista… Quindi penso che se andiamo a osservare possiamo notare che mille forme diverse ed efficaci di lotta, di combattimento, sono state fatte. Penso che le Femen siano geniali e ho visto la battaglia con la polizia. Questa è stata una forma politica che io metterei nel campo della forza, della violenza necessaria che a mio avviso dice quanto possano essere innovate e anche l’efficacia di queste ragazze non è di essere forti e violente ma di agire in modo sconveniente, scandaloso e in modo innovativo. Questo è il nostro terreno.
Luisa Muraro. Io non ho promosso il discorso violenza/non violenza. La cosa che fatto scandalo era il discorso sull’Aquila e anche su questo numero la questione delle sassate viene posta. Mi guardo bene dal giudicare chi tira le pietre o prende le armi per difendere la sua vita e la sua dignità. Il mio discorso era: ma come ce la fate a farvi offendere da quel pagliaccio che usa la vostra città come scenario, com’è che non vi è venuto in mente di prendere un sasso e tirarlo? È una retorica, un linguaggio e questa cosa ha scandalizzato le donne, alcune qui presenti. Questo è il problema. Parlare delle Pussy Riot come non violente è perdere l’essenziale. L’essere o non essere violente non è il punto della loro lotta. Il punto è essere efficaci con i mezzi a loro disposizione senza mettersi nei guai. Si sono messe nei guai ma si erano spinte in là e hanno messo nei guai i loro avversari. Hanno avuto una magnifica tattica. Invece il portare tutto sull’asse violenza/non violenza è ridurre tutto quanto. È la cosa di cui mi sono lamentata riguardo a questo numero, numero che però ha un suo messaggio. Lilli dice: se tu hai dato adito a tanto equivoco ci avrai messo del tuo. No, Lilli, rispondo io, la politica delle donne è fatta in questo modo: finché è per le donne va tutto bene ma quando la sbatti sul tavolo principale non va più bene anzi non capiscono cosa stai facendo. Certo ho fatto degli errori tipo consentire quel titolo e accontentare la mia editrice che lo proponeva appassionatamente. C’erano dieci ragioni per metterlo e una per non metterlo, quindi ho ceduto. Il fatto è che c’era la parola violent dentro che però non è violenza. Io degli sbagli, Lilli, li ho fatti ma non imputarmi di essere stata spostata su un terreno che considero fasullo, violenza e non violenza. A me interessa la politica di guerra, la perdita di forza che i cittadini hanno. Io sfido i sette anni di lotta di No dal Molin dove nessuno ha risposto a quella vasta mobilitazione di popolo. Gli americani sono andati avanti imperterriti con una strafottenza unica e i nostri uomini politici con codardia. Ho visto l’agonia di questa faccenda, ho visto morire la politica da parte di quelli che l’impegno politico lo avevano. Non mi interessa la politica delle donne per le donne, le donne sono una forza dirompente che bisogna giocare, ma vorrei non essere incastrata nella questione violenza/non violenza. Loro [Leggendaria] hanno intervistato dieci giovani donne e di queste la metà dice che lancerebbe i sassi. Quello che ha testimoniato Vita è un’inibizione: una può dire “io a mio figlio non ho mai voluto dare uno schiaffo” ma se dici “non ho potuto” è un altro discorso, è un’inibizione che non fa bene né a te, Vita, né a tuo figlio. I sassi ai poliziotti non andavano tirati ma a Berlusconi sì. Questo è il punto, se non afferriamo questa questione restiamo incastrate nell’asse violenza/non violenza e politicamente nell’auto moderazione.
Bia Sarasini. Vorrei dissentire: la non violenza è molto violenta. Ci sono alcuni che caratterizzano la non violenza come forma politica. Innanzitutto è mettere in gioco se stessi, si fa del male a sé stessi. Non colpire l’altro è una funzione di responsabilità. Io che da bambina mi sono trovata a giocare a tirare i sassi con i ragazzi ho scoperto che non solo mi facevo male io ma non sopportavo il male che facevo all’altro. Questa non è auto moderazione, è conoscenza dell’altro, stare con l’altro, questo è il fondamento della non violenza. Se lo riduciamo a una scenetta, un gioco, alla declamazione della non violenza, diventa un’irrisione di pratiche esistenti in cui si mette in gioco sé che richiede forza, consapevolezza di sé, richiede saper sostenere un conflitto. Io non faccio male a un altro e posso rischiare la mia vita: questa è la posta in gioco, non è nella tradizione occidentale delle forme di lotta anche se esistono pratiche di lotta in questo modo. C’è di mezzo l’idea del potere che è il potere che si conquista. Quello che abbiamo cercato di mettere in gioco è che non si può fare un’affermazione di non violenza esterna, occorre un’interiorità che aderisca a questo. È anche una disciplina a cui si può arrivare per diverse vie per cui non credo abbiamo fatto un torto alle Pussy Riot perché la loro pratica per come agiscono è non violenta. Bisogna intendersi.
Luisa Muraro. Tu, Bia, parli di tirare i sassi agli amici, lei, Vita, ai poliziotti, io dicevo in un contesto precisissimo. Parlavo di Sarajevo: erano giovani uomini mandati lì e non hanno difeso le vittime che venivano massacrate inermi sotto i loro occhi. Sono stati prima decorati con le medaglie poi processati e condannati a pene lievi perché troppo giovani quindi non avevano capito. Comunque dev’essere innaturale una persona che assiste a un’uccisione di un inerme. Doveva essere innaturale stare a guardare un uomo indecente che viene a fare della tua città distrutta una passerella per le sue passerelle, era naturale invece respingerlo indietro. Bisogna parlare dei contesti, della logica interiore, della disponibilità libera della propria forza. Se tu, Bia, mi dici: faccio male a me stessa, queste sono astrazioni.
Bia. Non sono astrazioni ma pratiche.
Luisa. Le Pussy Riot non hanno fatto nessuna pratica di non violenza, si trovano in una strettoia dove se sbagli la paghi. Inventano quindi una pratica politica, di quelle che non chiamiamo non violente ma pratiche politiche di parola, di affidamento, di relazione tra donne. Non abbiamo mai detto “scegliamo la non violenza”, abbiamo detto “facciamo pratiche che abbiano un senso, un’efficacia, che non ci mettano nei guai”. Tirare sassi è un gesto significativo come andare a suonare la chitarra sull’altare della Madonna. È un gesto certo che va a segno. Ma se quello se lo merita il sasso – perché quello sfacciato se lo merita – non deve inquietare la coscienza neanche di Gandhi che si preoccupava sempre di chiedere a quelli che stavano con lui se se la sentivano di fare certe azioni. Lui, come le Pussy Riot, faceva in modo di suscitare clamore. Le pratiche di non violenza sono pratiche che, se sono studiate per avere efficacia, sono d’accordissimo a farle, ma non si può giudicare negativamente una persona che per la sua dignità tira un sasso. Invece qui sento che si tende a fare questo. Si dice “non si può, non si deve tirare i sassi a Berlusconi”, invece bisogna ammettere che se uno per difendere la sua dignità si ritrova a tirare un sasso va bene così.
Laura Minguzzi. Volevo dire una cosa sull’importanza del contesto, sul collocare gesti e azioni. A proposito delle Pussy Riot, il loro gesto è stato molto studiato, pensato da un paio d’anni e il momento è stato scelto apposta, è il momento delle elezioni, della propaganda politica, quindi hanno colpito nel momento giusto per un preciso intento politico. La loro manifestazione artistica è stato un gesto estremamente politico e sono andate a far coincidere momento artistico, linguaggio, momento storico e luogo simbolico. La violenza non l’hanno fatta loro, è stata invece delle guardie del corpo che presidiavano la chiesa (chiesa che è divisa in due parti, una privata e una dove si fanno manifestazioni profane, riunioni politiche propaganda per le elezioni). La violenza l’hanno fatta le guardie trascinando via una di loro.
Bia Sarasini. Io propongo che Luisa ci insegni a tirare i sassi, il materiale ce l’abbiamo.
Intervento. Io sono curiosa di sapere perché l’editore voleva il titolo Dio è violent, perché trovo proprio centrata la rievocazione della violenza in quel libro, trovo che il titolo sia adeguato. La cosa che mi viene da dire è questa: lì c’è anche una grande discussione sulla giustizia e non solo sulla forza come sottocategoria della violenza. Mi riattacco a quell’esempio della ragazza che non reagisce per impotenza, chiamiamola così. Devo dire che è una delle poche cose che ricordo bene perché mi ha colpita, come se tutto il libro fosse un’evocazione di quel ragionare singolare, individuale per cui la violenza è eventualmente consegnata a un gesto. Invece la valutazione della giustizia e ingiustizia è qualcosa di definitivamente espropriato, cioè se passa l’idea del buonismo in un certo senso riflette un diffuso senso di impotenza. Comunque il titolo su Dio è come se l’unica libertà vera fosse quella di Dio e guarda caso contempla anche la violenza, mentre la situazione degli individui che vogliano anche pensare politicamente è quella di non sapere a che cosa votarsi per trovare un’azione comune. È vero che le donne hanno messo sul piatto una forza ed è una forza diversa che non ha fatto scuola in quanto forza comune e la situazione di fatto che prevale è il pensiero del buonismo e che il singolo se vuole trovare giustizia si deve appellare a Dio.
Giordana Masotto. Dal primo momento che ho visto il libro di Luisa ho pensato che il titolo era bello e quando l’ho letto ho pensato che il titolo era molto adeguato al contenuto. Se vogliamo stare al tema, e io sono d’accordo che le due parole principali del nostro discorso siano l’efficacia e la forza, il problema sta nel capire come si esercita il giudizio dell’efficacia. Perché quello che noi cerchiamo di dire con la nostra politica e che secondo me ha cercato di dire Luisa è che se non siamo in grado di leggere a sufficienza la violenza che viene esercitata in tutti i modi oggi e da chi, tendiamo ad abbassare la necessità della nostra efficacia a situazioni… cioè ci accontentiamo. Il problema è da una parte il riconoscimento della violenza diffusa e di tutti i suoi livelli dall’altra di non abbassare il tiro. Dopo di che ci sono pratiche a livello alto, non violente come dice Bia, o artistiche ecc. Il problema è metterci d’accordo su qual è il livello della posta in gioco su cui misuriamo la nostra efficacia perché altrimenti c’è una sorta di abbassamento delle pretese, della cresta a un livello praticabile. Il problema è di efficacia rispetto alla posta in gioco. Dobbiamo confrontarci su questo, perché che sia violento non violento conta quanta forza ha rispetto all’efficacia.
Intervento. Non ho letto nulla però ascoltando il dibattito faccio una riflessione. Ho l’impressione che di fronte alla passività totale, alla rinuncia non solo delle donne ma anche degli uomini rispetto alla posta in gioco della politica c’è l’addomesticamento e un ignorare del tutto quello che è la posta in gioco e il conflitto in oggetto. Se non riusciamo a vedere quali sono i nostri nemici è perché forse la violenza del potere, dell’economia e della politica ha addormentato le coscienze. Ricominciare da dove ci siamo addormentate e riprendere. Perché anche la non violenza non ha oggi il modo per rendersi visibile a meno che non ci siano le cose clamorose che passano attraverso voi.
Lia Cigarini. [Non si sente]
Silvia Neonato. Noi siamo state un movimento antagonista molto forte. Io negli ultimi due anni ho frequentato le ragazze di Snoq di Genova. Quello che mi colpiva era l’estrema moderazione. La non violenza è una cosa seria e spesso molto violenta contro se stessa. Le Pussy si stanno facendo due anni di carcere. Le Madres argentine sono spesso incarcerate, strattonate, ferite, uccise. Io credo che ci vuole un enorme coraggio. La ragazza che guarda la scena di violenza nel libro di Luisa ha paura, un sentimento di noi umani. Intendo dire che la cosa più difficile nella vita è trovare il coraggio per esercitare la forza sia individualmente che politicamente e su questo sono molto d’accordo su quello che ha detto Lia, è un momento in cui noi non siamo particolarmente efficaci…
Bia Sarasini. Non mi piace fare una discussione di etichette. (Tra l’altro, in questo senso abbiamo orientato la discussione sul non parlare di pace, la pace è un’altra cosa.) La violenza nasce dal conflitto. L’efficacia e il contesto sono fondamentali, siamo in un momento in cui le soggettività non hanno la forza di trovare obiettivi, di andare ai tavoli principali. Capita alle donne e ma non solo. Capita di non avere parole, di essere ridotte all’impotenza. È la realtà. L’implosione dei partiti, delle forze politiche, lo stesso Grillo agisce in questo spazio. La riflessione di Lia mi trova d’accordo. Credo che la non violenza sia una scelta, credo che la pratica non violenta permetta di agire nei conflitti, non li nasconde, non li cancella, non pacifica non mette in armonia. Tutto il ragionamento sul patto e contratto sociale e il monopolio della forza da parte dei maschi mi interessa moltissimo, la trovo una parte molto ricca.
La scelta di non volere fare del male a un altro è una scelta, la vedo come una speranza che non sia una scelta… Questo non comporta il giudizio, quando è in gioco la vita ognuno fa quello che può fare e sa fare. Paradossalmente penso che le pratiche non violente siano delle scelte simboliche…
Scegliere mettere in gioco il proprio corpo… Se le Pussy avessero scelto in un certo modo la loro performance diventava spettacolo… quindi è una disponibilità al sacrificio personale.
Lia Cigarini. Viene citato Mandela: Mandela è riuscito facendo politica. Se non avesse avuto questa inventiva politica sarebbero scoppiati degli atti violenti. Quindi la violenza nasce quando non c’è la possibilità di fare altro. Credo che Mandela sia l’unico che abbia fatto una grande politica negli ultimi trent’anni. Quello che è successo all’Aquila è che i dirigenti non hanno fatto azioni politiche e forse il sasso doveva essere lanciato perché non c’era proprio politica.
Bia Sarasini. Stiamo parlando di politica e di azione politica. Le azioni politiche possono sfociare in forme aperte. Ma dall’invenzione si alimentano anche le pratiche.
Luisa Muraro. Sembra che diciate che le Pussy Riot abbiano scelto la non violenza. Hanno scelto di fare politica in quel modo lì, le Madres in un altro modo. Tu dicevi che la non violenza è violenza efficace. No, è la politica che è efficace.
Bia Sarasini. Sto parlando della forma politica della non violenza che è efficace.
Luisa Muraro. La forma politica esplicitamente della non violenza va tematizzata perché non si può fare che le Pussy Riot o le Madres siano esempi di forme politiche non violente…
Bia Sarasini. C’è chi ritiene che dobbiamo usare la violenza, spaccare le vetrine perché solo così diventiamo soggetti attivi… Ma si può essere attivi usando altre forme politiche.
Luisa Muraro. Dipende dai contesti. Bisogna fare politica. La politica dei grandi movimenti no global… quando quelli di Seattle hanno deciso di metterci la violenza hanno preparato il disastro di Genova perché la violenza l’hanno usata quegli altri che la violenza la sanno usare meglio. Quindi quelli di Seattle hanno sbagliato la scelta politica, non hanno sbagliato perché hanno usato la violenza.
Bia Sarasini. Erano predisposti alla violenza.
Luisa Muraro. Genova era una trappola, era la più grande manifestazione pacifica… Le Pussy Riot hanno attuato una strategia per colpire il bersaglio.
[Fine registrazione]