di Francesca Pasini
27 aprile Circolo della Rosa.
Provo ad aggiungere a memoria i colori pronunciati da artiste, artisti, collezionisti, giornaliste, ascoltatrici, ascoltatori. Quando dico che i colori non si possono descrivere, ma solo pronunciare, penso alle parole, ma anche alla voce e all’emotività della lingua madre.
Nel libro (Maria Morganti – Pronuncia i tuoi colori, Galleria Otto Zoo, Milano, 2015) racconto che l’opera è un soggetto e non un oggetto e che, tramite la sua mediazione, scopro qualcosa di me e dell’altro.
Luisa Muraro aggiunge: “ l’intimo del sé è imprigionato nell’altro: ogni altro, che si presenta in quanto tale, tiene prigioniero qualcosa di te. L’arte sprigiona il tuo intimo, dando forma a un soggetto impersonale, che però non è arbitrario, anche se non è detto che sia buono, può anche essere aggressivo”.
La fine della vecchiaia. Maria mostra la foto del Portadiari (un armadio aperto che contiene le tavole dei diari già “scritti a colore” e quelle ancora nude). Scatta una resistenza. Corrado Levi chiede: “ma cosa fai se vivi così a lungo da riempire questa “catasta”? Maria: “ne aggiungo un’altra”. Stefano Arienti la definisce una bara e trascina altri e altre su questa suggestione. No. E’ un gesto di ottimismo, tutte queste tavole pronte per diventare diari mi dicono che la vecchiaia è finita perché la vita è una trasformazione senza fine, come il desiderio di esprimersi. Corrado cita le ultime opere di Matisse, De Pisis, Beethoven.
Laura Boella, mi dà una scossa di felicità quando racconta: “Ero alla Triennale alla presentazione del libro di Maria, Un diario tira l’altro (Corraini, 2010), e quando ho sentito Francesca chiederle: “pronuncia i tuoi colori”, ho pensato che era la domanda che avrei voluto fosse fatta a me. Raccontare le tue passioni, i tuoi pensieri è aprire una porta che va ben oltre. Era come se le dicesse: scopriti, apriti, donaci uno sguardo oltre la parola. In questa pronuncia c’è una tecnica e una pratica che mi ha fortemente ispirata”.
Rosella Prezzo, parla di gioia nel movimento del colore. “Non pensare. Guarda, come diceva Wittgenstein. Allora, vedi il tempo, questo invisibile che sta dentro il visibile. Assorbi ciò che hai davanti agli occhi”. Le spugne che Maria ha abbinato al polittico del suo autoritratto sono questo, ma sono anche simbolo del rischio: se le strizzi si svuotano. Margherita Morgantin, avverte: “ nell’arte c’è un lato imprendibile che va difeso, per captare la danza imprecisa della materia”.
Stefano Arienti vede nei lavori col pongo di Maria un ritorno all’adolescenza. Magnifico! Vuol dire che nella sua esperienza di un colore dopo l’altro, un giorno dopo l’altro, ha trovato il modo di tornare indietro rispetto a se stessa e rielaborare la propria età.
Anche quando risponde alla mia domanda, Maria torna indietro e mi indica le tracce per il suo autoritratto. Sono sue, ma anche mie, perché istintivamente cerco di capire cosa metterei dentro il mio autoritratto.
Quale reciprocità mette in campo l’arte? Se l’opera è un soggetto, come faccio a sentirmi riconosciuta da lui/lei/esso? E’ una domanda cruciale per chi fa la critica d’arte contemporanea, perché l’artista è accanto a me, entra in relazione attraverso il soggetto-opera, ma anche attraverso la soggettività personale e le relazioni intellettuali, emotive, amicali. Se l’artista è vissuta/o prima di noi, possiamo immaginare il suo tempo, ma siamo liberi dall’attrazione per lei, per lui. Invece quando vive accanto, bisogna capire quale tipo di amicizia si sprigiona tra noi attraverso la mediazione dell’opera. E questa mediazione è così autorevole da garantire la relazione personale? No. La difficoltà sta qui. A volte si prova una grandissima attrazione per l’altro in colore e spazio (l’opera), e grandi prudenze per l’altro in carne ed ossa (l’artista). E’ per questo che mi oppongo a chi dice che conta solo la creazione. Con questo stratagemma si era affermato il trionfo dell’artista neutro, non era necessario sapere se era uomo o donna. L’opera soggetto ci porta invece in alto mare, dobbiamo superare le onde che trascinano tutti e tre: opera, artista, osservatore. Il soggetto che sprigiona qualcosa imprigionato nel profondo del mio intimo, e che riconosco in quel momento, mi obbliga a mettere in relazione quello che è affiorato non solo con l’artista, ma anche con tutte e tutti quelli che fanno parte delle mie relazioni sentimentali, culturali, parentali. E qui ritrovo l’intuizione, che ho preso dall’arte e dal movimento delle donne: la nascita di una famiglia relazionale che si “impasta” come direbbe Maria, con quella parentale. Anche il movimento delle donne ha pronunciato colori che mi hanno fatto vedere un soggetto col quale stabilire scambi e reciprocità.
Ringrazio tutte e tutti quelli che hanno pronunciato i loro colori per entrare in dialogo con Maria e con me. Mi auguro che queste diverse pronunce aiutino a creare una lingua multicolore.