12 Agosto 2023
AP autogestione e politica prima

Relazioni di differenza tra donne e uomini. Convegno delle Città Vicine e Identità e Differenza

di Franca Fortunato


Relazioni di differenza e confronti tra donne e uomini è il titolo del convegno nazionale, voluto da Anna Di Salvo delle “Città Vicine” e Adriana Sbrogiò di “Identità e Differenza”, che il 3 e 4 giugno 2023 si è svolto alla Libreria delle donne di Milano. L’intento – come ha detto Anna Di Salvo in apertura – era di «mettere a fuoco, oltre agli aspetti che fanno inciampo alla fiducia nella relazione di differenza, le questioni più importanti del nostro presente: la pace, la guerra e il militarismo, le città e la convivenza tra i sessi, la crisi ambientale, il divario tra economia del desiderio ed economia del profitto, l’esperienza artistica che si esprime con sguardi differenti». Relazioni di differenza, una pratica politica che nel passato ha visto donne e uomini, consapevoli della propria differenza, aprirsi allo scambio e al confronto reciproco come negli incontri annuali di Identità e Differenza, di cui le protagoniste e i protagonisti danno testimonianza nel libro di Teresa Lucente Il luogo accanto. Libro scritto durante la pandemia, come ha ricordato Adriana Sbrogiò nella sua relazione, e che è stato presentato per la prima volta a Spinea nel giorno in cui è stata annunciata la consegna alla Biblioteca e all’Archivio comunale del Fondo archivistico dell’associazione (22 faldoni che testimoniano 50 anni di storia-attività delle donne di Spinea, a partire dai quartieri negli anni ’70). A che punto sono le relazioni di differenza tra donne e uomini?  A che punto è il confronto e lo scambio con gli uomini di “Maschile Plurale”? A «un punto d’arresto», ha risposto Anna Di Salvo, perché «la differenza maschile da qualche tempo si è concentrata maggiormente in un confronto e scambio prevalentemente tra uomini». Vero, ha risposto Alberto Leiss, «gli uomini di Maschile Plurale stanno troppo tra di loro e non è cosa buona anche se è importante che parlino tra di loro. C’è chi vorrebbe creare un’associazione di soli uomini e io non sono d’accordo». Pace, guerra, disperazione, speranza sono le parole da cui è partito il confronto e se le donne si sono dette stanche di parlare di guerra e non ci stanno a farsi schiacciare dalla disperazione, gli uomini si sono mostrati consapevoli di non fare abbastanza contro la violenza maschile, divenuta insopportabile con femminicidi orrendi e con la guerra in Ucraina. «Sarebbe il momento – ha detto Alberto Leiss –, di dire noi uomini “basta con la violenza bellica che, come la violenza maschile sulle donne, ci riguarda come uomini”», questo per rendere gli altri uomini consapevoli che «senza autocoscienza maschile non cambia nulla». Adriana Sbrogiò, come altre, ha espresso il desiderio di non parlare di guerra perché «sono un residuato di guerra – ha detto – e ho paura, fin da quando sono nata ho sentito che ero dalla parte di chi “si arrende” piuttosto di venire uccisa. Se si vive, poi ci si può riprendere. Non intendo scappare, mai, resisto, può anche accadere un miracolo. Provo disperazione e speranza contemporaneamente e mi lascio prendere da altro, scrivo e cucio, intanto. Oggi la mia speranza è ancora nelle relazioni». Donne, relazioni, politica della differenza sono per Giusi Milazzo «una lente attraverso cui guardare il futuro sottraendosi a questo trionfalismo della guerra, della morte». «Testimoniare il male senza cancellare il bene» è la pratica di cui ha parlato Maria Concetta Sala, portata avanti con altre «per non essere intrappolate nella questione guerra-pace» ma parlando «della guerra attraverso alcune scrittrici». Il parlare o scrivere della guerra con parole di donne, di scrittrici, di pensatrici, consente di parlare di pace non in contrapposizione alla guerra, come fanno gli uomini, come ha fatto Giuseppe Russo a cui sembra che «si parli in astratto se non si parla di guerra e di pace senza parlare di armi» o Alfonso Navarro che ha parlato della lotta per la legge sull’obiezione di coscienza come «difesa popolare non violenta», in opposizione alla violenza bellica. «La pace non è l’assenza di guerra ma è un modo di vivere, di abitare il pianeta, un modo di essere esseri umani», ha detto Stefania Tarantino che ha presentato un video girato da “Studi femministi” nel Museo archeologico di Napoli dove con voce di donne, di scrittrici, hanno fatto parlare di pace le statue, «non in contrapposizione alla guerra ma per se stessa, come principio che va da sé». «Pace è una parola bellissima ma è accompagnata dalla parola guerra. Da sempre la si usa a conclusione della guerra ma nessuna guerra si è chiusa con la pace ma con trattati a cui è seguita un’altra guerra. Bisogna eliminare la parola guerra e fare in modo che a poco a poco possa sparire», ha aggiunto Anna Potito. «La pace non si fa tra una guerra e l’altra, ma va costruita a partire da sé, dentro di noi e poi la portiamo fuori», ha detto Adriana Sbrogiò che rispondendo a Dorella Marchi che si augurava «un grande desiderio collettivo alla pace» ha aggiunto che «il desiderio profondo è personale, è quello che ci dà forza, energia e non è mai collettivo». Per Donatella Franchi «dobbiamo dire che non ci importa delle cause della guerra ma noi vogliamo una civiltà in cui i conflitti si risolvano diversamente»; a lei fa eco Paola Mammani che dice di smetterla di parlare «delle cause geopolitiche della guerra». Ad Anna Potito che chiedeva di riflettere di più sulla guerra che «è nei geni maschili», Marco Cazzaniga harispostoche «la guerra e la violenza sono nei geni maschili, anche in me, perciò sto lì a vegliare», mentre per Stefano Sarfati «la violenza è nella cultura maschile. Attiene alla sfera del linguaggio non ai geni maschili dove, invece, c’è il duello, la sfida, e la guerra è un duello». Per Clelia Mori «il linguaggio sta nei corpi, il materno è già presente nei nostri corpi. Non si può parlare di guerra partendo dai geni». Per Donatella Franchi gli uomini dovrebbero dire «basta con l’obbligo di fare la guerra, come lo dicono le donne». D’accordo con lei Leiss che si è chiesto «cosa può sostituire la convinzione maschile che sia giusto andare in guerra?» Da qui la sua proposta di «un servizio di cura obbligatorio per gli uomini» che, forse «aprirebbe alla mediazione materna». Proposta respinta da Stefano Sarfati perché «bisogna insistere sulla presa di coscienza», mentre Gianni Ferronato l’ha definita “una buona cosa” visto che «il cambiamento che vorremmo avviene uno per uno e mi pare che il tempo stia per scadere». Per Laura Colombo «la presa di coscienza è imprescindibile. Cosa si sostituisce alla virilità che poi sfocia nella guerra? Non si sa se il servizio civile di cura obbligatorio sia efficace», mentre per Luisa Muraro «può essere un modo per fare passare negli uomini qualcosa del materno», anche perché per Lia Cigarini, che cita Dino Leon, «qualcosa della madre si può trasferire nel figlio». Sulla “mediazione materna” nelle relazioni di differenza Beppe Pavan di “Uomini in cammino” in una lettera inviata al convegno tramite Anna Di Salvo che l’ha letta, ha detto che, nel suo percorso, quella mediazione a lui è arrivata tramite la moglie, il che per Vita Cosentino è motivo di speranza perché «può darci qualcosa di nuovo nella relazione di differenza». La speranza nel materno che agisce dentro gli uomini, a Katia Ricci viene dalla storia di un fabbricante di mine antiuomo che dopo che il figlio piccolo gli dice “ma tu sei un assassino”, abbandona quel mestiere di morte e diventa un volontario sminatore nei Balcani per salvare vite. «La mediazione materna tra donne e uomini agisce già nella pratica artistica» ha aggiunto Katia nel presentare la mostra di mail art Donna, Vita, Libertà che ha accompagnato il convegno. Mostra alla sua sesta edizione, organizzata dalla Merlettaia di Foggia e dalle Città Vicine e allestita da Katia. «Vedo nella mail art come se il conflitto tra uomini e donne venga meno perché gli artisti parlano in lingua materna. Chi fa pratica artistica sa che c’è una parte che riguarda l’inconscio e nell’inconscio si incontra la mediazione materna, la matrice, la lingua materna, quel tipo di comunicazione affettiva e corporea, molto più che informativa tra madre e figlio/a. Questo porta donne e uomini a ricercare una pratica, un’espressione artistica che non può non essere di origine materna». Concetto ripreso da Donatella Franchi aggiungendo che «la differenza tra artisti e artiste sta nel fatto che per gli uomini il rapporto con la lingua materna rimane chiuso nell’opera e quindi la lingua materna non funziona, diventa strumentale». Per Luciana Talozzi, che da anni fa «arte in relazione con la “Festa della Riconoscenza” a Chioggia che quest’anno avrà come titolo Il giardino fatato», la speranza «è il desiderio, fondamento della nostra politica, e le relazioni sono la mediazione per realizzare il desiderio». Per Antonella Cunico la speranza è «nella buona notizia» della vittoria alle amministrative nella sua città, Vicenza, di un giovane sindaco che ha coinvolto le donne che come lei si sono opposte alla costruzione della base militare americana. Un giovane che sa ascoltare le donne e prendersi cura della città. Lo stesso non si può dire per Milano, che per Bianca Bottero è diventata una città «invivibile, dove tutto è relegato al privato che adesso abbatterà anche lo stadio, un grande polmone verde, per fare spazio alla cementificazione». Il disagio “profondo” che investe le ragazze e i ragazzi, ha continuato Bottero, è stato espresso dall’«azione radicale» di Ilaria, la ragazza che ha dormito in tenda davanti al Politecnico, azione che «superficialmente è stata ridotta al caro affitti». Per Laura Giordano «le cose che gli uomini fanno in positivo vengono esaltate, così a risulta che lui sa prendersi cura ma poi si blocca e non va avanti». La speranza per Loredana Aldegheri è nell’economia a cui lei «è arrivata dal senso di giustizia sociale, che dovrebbe orientare oggi l’economia. Dell’economia non dovrebbero occuparsi gli economisti di mestiere ma chi si prende cura della casa». Speranza e disperazione per Laura Colombo stanno nell’uccisione di Giulia Tramontano da parte del fidanzato: «La disperazione sta nel fatto che quando Giulia è scomparsa sapevamo già cosa fosse successo. La speranza è nella relazione tra donne che non sta dove l’avevano messa gli uomini nel patriarcato. Le due donne, Giulia e l’amante del fidanzato, non sono più rivali, si incontrano, si abbracciano, solidarizzano, e la madre di lui cerca un filo con la madre di lei». Madre che per Vita Cosentino dà speranza nel dire «mio figlio è un mostro, non lo perdonerò mai» spezzando così il copione della madre sempre dalla parte del figlio. Nessuna speranza, invece, nelle donne di potere belliciste che a Adriana Sbrogiò fanno paura quanto gli uomini perché «possono distruggere l’umanità». Questo perché, come ha detto Luisa Muraro, «le donne nella vita pubblica vanno all’insegna dell’uguaglianza con gli uomini. Non è l’uguaglianza che ci porterà avanti ma la differenza da mettere in pratica e rendere pubblica. Bisogna fare azioni eloquenti, convinte, e dire che nella vita pubblica non cerchiamo uguaglianza, parità con gli uomini. Siamo concentrate a ripudiare l’uguaglianza, la parità, per andare nella vita pubblica». Per Simonetta Patané «la lotta per la parità distrugge il desiderio». E per Clara Jourdan, che ha coordinato gli interventi, «nel cambio di civiltà che stiamo attraversando la questione è che non si instauri il fratriarcato, come stanno cercando di fare gli uomini appunto all’insegna dell’uguaglianza».

Da tutti gli interventi quello che emerge è la ripresa di un percorso delle relazioni di differenza tra donne e uomini, fatte di scambio, di riflessione, di ascolto, di riferimento l’una/o all’altra/o. Percorso che, chiuso il convegno, apre ad altre occasioni di incontro tra donne e uomini consapevoli della propria differenza.  


(AP autogestione e politica prima, a. XXXI, n. 3/4, luglio-dicembre 2023)

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