Presentazione del libro di artista di Donatella Franchi e della nuova vetrina del Circolo della rosa e della Libreria
di Serena Fuart
Trasformare in arte il rapporto con la propria madre. E’ il tema su cui si è discusso il 2 ottobre alla Libreria delle donne nel corso della serata dedicata al libro d’artista” A Clotilde” di Donatella Franchi da cui ha avuto origine e spunto l’allestimento della quarta vetrina della Libreria delle donne e del Circolo della rosa a cura di Franca Bertagnolli.
“Mia madre è sempre stata una lettrice – si trova scritto nel libro di artista -Me la ricordo da giovane, sempre con un libro in mano, e negli ultimi anni della sua vita, china sui libri che teneva in mano delicatamente, come corpi vivi. Erano il suo legame con la vita, con la propria storia.
Sono vissuta accanto a mia madre nell’ultima fase del suo viaggio. Per superare l’angoscia che la sua fragilità e la sua dipendenza a volte mi procuravano, ho cercato di mettere a fuoco i gesti con cui si esprimeva, e così il libro è diventato l’oggetto mediatore tra noi due: quel suo tenere ostinatamente in mano un libro ha cominciato ad assumere per me un significato, un valore, che ho potuto restituirle, che mi ha aiutata a rincontrarla, a ricreare il rapporto con lei. Le sue mani che sfogliano le pagine con delicatezza, o su di esse riposano, mi sono apparse proiettate nella luce della grande tradizione artistica dei ritratti, dove il libro tra le mani investe i personaggi di una pensosità solenne, un’intimità con se stessi, a volte una malinconia assorta, come quella che fin da bambina spiavo sul volto di mia madre lettrice”
Come scritto nel libro Donatella racconta: “Mi sono ritrovata a prendermi cura di mia madre. Era anziana e soffriva di una forte depressione. Per non essere risucchiata da questo rapporto l’ho trasformato in una pratica artistica. Mia madre amava molto leggere e trascriveva le poesie. Le ho chiesto anche se poteva raccontare episodi della sua vita. Ha insegnato durante il fascismo, ne avrebbe avute di cose da dire. Ma non ha accettato il mio invito. Mi è sempre piaciuta la sua calligrafia, la vibrazione dei segni tracciati, la loro inclinazione e movimento. Le ho chiesto così di trascrivere dei testi poetici che la coinvolgevano in modo particolare, scelti tra i libri che possedevamo entrambe. La maggior parte è tratta dalla prima traduzione italiana di Emily Dickinson, autrice da me molto amata, che mia madre mi ha fatto conoscere. Quasi duecento poesie sono state rilette a voce alta e trascritte, in un certo senso riscritte da lei, con la sua calligrafia vibrante, una scrittura da scriba, su dei foglietti di carta di riso che io le porgevo. La calligrafia è così diventata traccia del suo corpo. Una lunga scia di foglietti di carta che scandisce un cammino. Ho modellato alcuni di questi foglietti dando loro la forma di un paio di scarpe leggere e ho chiamato questo lavoro comune Viatico Il significato originario della parola “viatico” è : “Quanto occorre per il viaggio”.
“Le sue mani che sfogliano le pagine con delicatezza o su di esse riposano, – dice Donatella mentre le immagini che le ritraggono venivano proiettate – mi sono apparse proiettate nella luce della grande tradizione artistica dei ritratti, dove il libro tra le mani investe i personaggi di una pensosità solenne, un’intimità con se stessi, a volte una malinconia assorta come quella che fin da bambina spiavo sul volto di mia madre lettrice…”
Molto forte l’emotività, scatenata da queste affermazioni, che ha presto conquistato il pubblico.
A presentare il libro Katia Ricci, di cui riporto integralmente le parole della sua preziosa presentazione.
Il lavoro artistico di Donatella si inserisce “nella tradizione di quelle artiste che hanno trasformato il desiderio e la necessità di crescere i figli o prendersi cura di persone care o far fronte a una situazione
difficile in un atto creativo, in un’opera d’arte, anche con nuove invenzioni e pratiche artistiche, andando al di là del mero dato quotidiano e dando corpo, visibilità e senso ad esperienze di vita – introduce Katia.
“Tra i tanti esempi di artiste che mettono al centro della loro ricerca il desiderio di trasformare in arte ogni aspetto della vita e della quotidianità, Sonia Delaunay e la contemporanea Sophie Calle, che ha rappresentato la Francia alla 52esima Biennale di Venezia nel 2007. L’artista è presente anche nel Padiglione Italia con una toccante opera sulla morte della madre”
“La prima volta che ho visto le immagini di Donatella e l’installazione con le fotografie e i foglietti di carta di riso su cui la madre aveva ricopiato le poesie delle poete più amate, sono stata maggiormente influenzata dal soggetto e, pertanto, le ho viste in un modo più emotivo, immediato”
Katia racconta di aver vissuto quel lavoro a partire dalla sua esperienza e dalla conoscenza di Donatella “Il lavoro mi aveva preso perché avevo vissuto da poco tempo la malattia e la morte di mia madre prima e di mio padre poi. In seguito l’ho rivisto con altri occhi, come un’opera d’arte, qual è, con maggiore distanza, lasciandomi catturare dalla potenza delle immagini, che racchiudono una vita e raccontano una storia: il rapporto della madre con il libro, la ricerca di libertà e di senso attraverso la parola poetica, il percorso di Donatella nel suo rapporto con la figura materna, fino alla piena accettazione della madre come donna. Non è un caso che nella dedica la chiami semplicemente con il suo nome, Clotilde. L’opera esprime gratitudine e riconoscimento verso la madre di una figlia che si interroga sulla relazione con lei, dandole, attraverso l’arte, una dimensione universale. Vedo quest’opera come un atto d’amore e di restituzione. Ad una seconda visione, dunque, ho potuto vedere le immagini senza l’urgenza delle emozioni delle vicende biografiche e avere quella necessaria distanza che mi ha permesso di leggerle come testi su cui appaiono segni del rapporto di Donatella con la madre, del mio con Donatella, del mio con la lettura, ecc …, e da cui emerge qualcosa di lei e di me al tempo stesso”.
Katia parla poi dello splendido lavoro di Donatella “… ci rende partecipi di una parte intima della sua vita, la riflessione sulla vecchiaia della madre, ma di cui, in realtà, fissa non tanto la vecchiaia, quanto la vitalità perché mette in evidenza la passione della madre per la poesia e l’arte che è la sua stessa passione. In più il libro fotografato è una raccolta di Emily Dickinson, che suggerisce un’altra grande passione di Donatella e della madre per la libertà femminile. E’ un’opera che, dunque, mi suscita un senso di vitalità ed energia, pur avendo come soggetto la vecchiaia, per la capacità di Donatella di aver trasformato un’esperienza difficile e dura in bellezza. Può far malinconia a chi rimane legato al soggetto, sovrapponendo il proprio sé all’opera e impedendo che l’opera suggerisca angolazioni e aperture”.
Katia inizia a raccontare basandosi sulle immagini che scorrevano sullo schermo rappresentanti la madre che legge. In particolare le sue mani, affusolate e delicate, tipiche di un’intellettuale, posate delicatamente sul libro nel momento della lettura. Dalle immagini si può anche vedere il vestito di velluto rosso che la donna portava .
“Guardandole in sequenza – dice Katia -, le immagini mi appaiono divise in 4 momenti: scelta del libro (E. Dickinson, sulla cui copertina è il particolare di una mano che regge un libro in un dipinto… ), lettura, scrittura e riflessione. Poi ci sono le due immagini iniziali, quella da giovane e quella da centenaria della madre seduta davanti alla finestra con un libro tra le mani, secondo l’iconografia della lettrice, diffusa nell’arte dell”800-‘900. La madre che legge mi ha fatto venire in mente il ritratto che Mary Cassatt fa della propria madre, il legame che visualizzò tra la figura materna, il pensiero e la creatività, mettendo in mostra lo scambio, a livello di pensiero tra lei, artista e la madre che legge il giornale, a quei tempi simbolo della cultura appannaggio degli uomini. Le immagini si dispongono in una sequenza che racconta l’importanza
della lettura per Clotilde, il conforto che ne riceveva, il placarsi delle ansie, il continuo desiderio di capire attraverso la gestualità: l’aggrapparsi, quasi, delle mani alla pagina, il prendere il libro con entrambe le mani come per abbracciarlo e porgli domande, l’abbandonare le mani sul foglio, in una pausa di riflessione, il lasciarsi andare alle sensazioni della lettura e il riposare in se stessa. Il libro è un veicolo della ricerca di senso e di trascendenza rispetto ai nudi fatti della quotidianità. Le mani, nonostante l’età, sono ancora belle e pulsanti sotto la pelle, le vene sembrano disporsi come rami di un albero della vita, cariche di linfa, come quella della parola poetica. Lo spazio fortemente compresso in cui Donatella ritrae le mani focalizza l’attenzione sull’attività che Clotilde compie, suggerendo a chi vede che lì è racchiuso il senso che l’artista attribuisce al suo rapporto con la madre, facendo vedere a chi osserva la stessa cosa che lei stessa sta vedendo, infatti l’occhio della fotografa coincide con quello di chi vede la fotografia. Lo sguardo si posa direttamente sulle mani, eliminando tutto per evitare distrazioni su elementi estranei. Importante l’uso del dettaglio, secondo un’inquadratura cinematografica (ricordiamo che in Hitchcock il dettaglio conteneva e anticipava il senso dell’intera narrazione).
Katia parla poi della rappresentazione delle mani che, nella tradizione artistica in ogni epoca e cultura, “simboleggia la comunicazione, non verbale evidentemente, che esprime un carico di senso, anche in mancanza della parola. Questo libro d’artista va in giro per il mondo, non è sempre accompagnato dalla presenza dell’artista o da chi può parlarne . Sono mani affusolate, diafane, delicate, belle, mani da intellettuale, che ha amato la cultura e le arti. Toccano con attenzione, con la consapevolezza di maneggiare qualcosa di importante, di sacro. Si intravedono le maniche di un abito di velluto rosso, segno di signoria, regalità nell’iconografia artistica e di rispetto per il valore sapienziale della poesia e del libro.
“Non è un caso che Donatella interponga tra le fotografie dettagli di opere di Lavinia Fontana e Sofonisba Anguissola di mani con libri, che evidentemente sono libri di preghiere e che, nel caso di Lavinia Fontana, si rifanno all’iconografia di sant’Anna che insegna e mostra alla Madonna il libro di preghiere. Dunque un’iconografia di un rapporto sacro tra madre e figlia e con il libro, che si inserisce in una genealogia femminile. Una tale rappresentazione della madre fissa un momento di armonia non solo e non tanto con il proprio sé profondo, ma con il mondo rappresentato dal libro (ricordiamo che si tratta di una raccolta di poesie di Emily Dickinson, che rimase gran parte della sua vita in una stanza da cui osservava e dava senso al mondo attraverso la parola poetica). Una figlia osserva e filtra l’immagine della madre attraverso la mediazione dell’arte e della stessa inclinazione per il bello. Le immagini rappresentano anche il momento in cui la madre ricopia le poesie, come a farle proprie. In questo caso l’inquadratura si apre un poco per far vedere i foglietti e le maniche per poi restringersi nell’ultima fotografia, in cui le mani si posano l’una sull’altra in una situazione di riposo e di riflessione. Lo spazio molto ristretto mi fa pensare alla volontà di comunicare un bilancio di vita, dopo aver sfrondato tutto ciò che è superfluo per arrivare all’essenza, a ciò che è irrinunciabile e che è fissato per sempre. L’arte è terapeutica nel rappresentare il rapporto tra il sé profondo dell’artista e quello della madre. Il mondo che sembra assente è invece presente sotto forma dell’arte: un invito a trasformare in un atto creativo, dandogli senso, gli eventi della vita. Le passioni più vere e forti di madre e figlia sono inserite in una storia femminile particolare quella dell’arte”.
Molti gli interventi da parte delle partecipanti sulla scia della forte emotività scatenata dal racconto di questo rapporto speciale che si inserisce in una genealogia femminile di donne e di artiste.
Luisa Muraro interviene definendosi ‘impressionata dal tema’ e segnala due libri: uno di Tiziana Plebani ‘Il genere dei libri’, un testo che si occupa della lettura da parte di uomini e donne con un occhio di riguardo per quella delle donne. Luisa sottolinea anche che il rapporto tra madre e figlia è un grande tema religioso e popolare. L’altra segnalazione che propone è quella di una mostra di una pittrice milanese che dipinge i tram di Milano. Nella mostra si ritrova anche un quadro in cui l’artista ritrae la madre vecchia che legge. “E’ un quadro di forte intensità” dice Luisa e c’è una differenza con le foto di Donatella. “La madre di Donatella infatti è colta nella lettura, nei ritratti dell’altra artista emerge un avido gesto di possesso del libro, una sorta di fisicità molto forte”.
Molto appassionato anche l’intervento di Laura Modini. “Questo percorso mi ha fatto ricordare mia madre. Non aveva mani da intellettuale: amava cucinare, fare l’uncinetto e amava leggere di tutto. Mentre conducevo i miei studi sulla Cina lei mi ascoltava mentre studiavo e poi mi dava il suo parere quando ripetevo: se aveva capito quanto dicevo allora voleva dire che mi ero preparata bene.”
“Trovo bellissima questa elaborazione del rapporto della madre tramite l’arte- interviene Laura Minguzzi – L’arte fa parte della vita. Lo sostengo perché ne sento periodicamente il bisogno: per esempio sento l’esigenza di vedere delle mostre. L’arte mi permette un contatto intimo con me stessa” Questa passione per l’arte è frutto del primo femminismo ricorda Laura “Ai tempi si usciva tutte insieme a vedere delle mostre…”
La discussione mi ha appassionato e mi appassiona tutt’ora. Penso al mio rapporto con mia madre, ancora forte e vitale, soprattutto sana. Penso al nostro rapporto speciale, come questo possa essere in sé un’opera d’arte. Mi vengono degli spunti su come realizzarla. Lei mi sostiene e si prende ancora cura di me, mi protegge. Lei ama i lavori manuali e usa le sue forti mani in svariate attività di cura della casa, di mio padre e di me. Ricordo la sua forza e il suo dinamismo quando si è presa cura di sua madre, cercando di allietare i duri momenti della sua malattia. Le infondeva amore e coraggio tramite una comunicazione corporale.