Al museo di Capodimonte gli scatti dell’artista tedesca danno una diversa prospettiva a luoghi e monumenti
di Adriana Pollice
«Utilizzo la luce naturale, non mi piace portarmi dietro fari e attrezzi da set cinematografico. In alcuni ambienti si possono aprire o chiudere le tende, ma il lavoro sulla luce lo faccio in studio» racconta la fotografa tedesca Candida Höfer di fronte l’immagine, grande quanto un quadro rinascimentale, della sala del teatro Mercadante ripresa dal palcoscenico, di un bianco innaturale in contrasto con il rosso dei velluti. Uno dei sedici scatti fatti a Napoli e in mostra al museo di Capodimonte fino al 15 novembre, «ma ne ho fatti molti altri, tanti altri posti mi sarebbe piaciuto ritrarre. La scelta dei luoghi e il lavoro in studio hanno richiesto circa due anni». L’indagine fotografica sugli spazi pubblici, chiese, biblioteche, alberghi, teatri dell’opera, luoghi di incontro e scambio fra gli individui di una stessa comunità, intrapresa dall’artista allieva di Berndt e Hilla Becher in giro per il mondo, aggiunge le architetture partenopee al suo atlante. Sembra di rivedere delle eco della serie portoghese «ma lì le geometrie erano più rigorose – spiega l’artista – Quasi sempre le mie immagini sotto fatte dall’alto, quando non era possibile abbiamo montato una sorta di balconata. Preferisco concentrare la mia attenzione in un punto preciso dello spazio, focalizzare l’immagine, poiché nei luoghi si svolgono molte attività diverse, si è circondati da molte stratificazioni artistiche e tutto questo finisce per confondere l’osservatore, distogliendolo dalla funzione primaria del luogo stesso».
La Biblioteca nazionale, la chiesa della Certosa di san Martino, le sale di Capodimonte, il Lazzaretto dell’ospedale di Santa Maria della Pace sono ritratti in un vuoto di persone, che in una città come Napoli implica una radicale trasformazione rispetto all’immagine usuale. Una sorta di still life dei volumi architettonici: «Molti non riconoscono gli interni dei monumenti della loro stessa città quando sottrai gli uomini e le donne che li vivono. Spesso mi dicono che le mie foto sono melanconiche ma a me non sembra, credo invece di ridare valore ai luoghi restituendo centralità alla funzione per cui sono stati ideati e costruiti». La sala Causa che ospita gli scatti, così, si trasforma in una quadreria contemporanea dove gli spazi ritratti rivelano, attraverso l’obiettivo della Höfer, una differente identità: la chiesa ottocentesca di San Francesco di Paola, abbagliata dal bianco della luce, rivela le geometrie neoclassiche, lo scalone monumentale della Reggia di Portici si trasforma in un gioco di prospettive disegnate dai colori pastello: «Il mio lavoro riguarda la trasformazione di spazi in immagini. Amo fotografare spazi aperti al pubblico dove le persone si incontrano, comunicano, si rilassano. Cioè che mi interessa è la sovrapposizione delle epoche storiche che possono essere lette contemporaneamente, seguendo però il rigore delle loro geometrie».