dal 1 all’8 marzo 2017
Dea Madre una mostra di Pina Massarelli e Wanda Delli Carri
presso Palazzo Dogana Foggia
Un incontro inevitabile e felice quello che ha portato Wanda Delli Carri e Pina Massarelli a esporre insieme le loro opere. In momenti diversi, Pina l’anno scorso e Wanda poco prima di Natale, avevano esposto le loro opere al Museo Civico di Foggia grazie alla direttrice, Gloria Fazia, che ha molto apprezzato le opere di entrambe, tanto è vero che ha acquistato un’opera di Pina per il Museo e ha scritto la presentazione sul catalogo di W. Delli Carri. Pina ha visto le opere di Wanda, ha riconosciuto oltre alla loro qualità artistica una ricerca affine alla propria e le ha chiesto di organizzare insieme una mostra perché sarebbe stato un modo per rafforzare il discorso che sta a cuore a entrambe: ricercare e rielaborare riti e culti che appartenevano a una cultura e a una civiltà antiche.
Questa cultura, che in seguito è stata cancellata o dimenticata, o si è ritirata in piccole nicchie del mondo, consisteva in una visione magica del mondo che è stata sottovalutata, considerata primitiva e la magia una filosofia semplicistica. Sia studiose, Marija Gimbutas tra tutte, che studiosi l’hanno riscoperta e studiata. Robert Graves per esempio, osservando i miti religiosi antichi riconosce che si riferiscono alle società matriarcali conosciute nell’area mediterranea e in Europa prima dell’arrivo degli invasori dell’Est e del Nord. Svela inoltre che l’Europa antica non aveva divinità maschili e si venerava solo la Grande Dea, immortale, onnicomprensiva e onnipresente, incarnazione della natura terrestre e cosmica; la luna e il sole erano i suoi simboli. Gimbutas dimostra che nel Paleolitico e nel Neolitico le donne erano sacerdotesse e veneravano dee. Nei 3.000 siti che ha analizzato, ha trovato 30.000 sculture di dee, donatrici di vita e fertilità, morte e rigenerazione, che portano inciso o dipinto sulla superficie delle statue una sorta di codice cifrato che ha chiamato il linguaggio della dea. Tutte le prove dimostrano che nell’Europa antica la cultura era caratterizzata da una profonda religiosità verso la dea e dalla centralità sociale delle donne come fonte di vita. Gli uomini hanno funzione di stimolo e impulso ma non hanno potere. Gimbutas descrive questa cultura come matrilineare, matrilocale e matrifocale, egualitaria e pacifica in netto contrasto con la successiva fase indoeuropea che ha avuto un carattere patriarcale e che ha distrutto l’antica cultura. Insomma, la cultura della guerra non è nata in Europa, ma vi è stata portata dalle invasioni di uomini a cavallo provenienti dalle steppe russe. Fin qui il mito, che poggia su ricerche e studi accurati, come è raccontato, tra le altre/i da Heide Göttner-Abendroth nel suo libro Le società matriarcali, Venexia editrice, 2012.
Quello che sappiamo con sicurezza e di cui abbiamo esperienza è che noi tutte e tutti siamo nati e siamo figli di questa cultura occidentale, quella che Vandana Shiva chiama monocultura della mente, che riduce tutto a uno, un tipo di società, un tipo di economia, ecc. e crea modelli fissi, eliminando tutto ciò che non si omologa, che è diverso, eliminando l’alterità o riducendola a uno stereotipo.
La storia sarebbe continuata così se il femminismo non avesse operato una rottura di questa visione monolitica e sviluppato la critica nei confronti dell’idea che il pensiero, il logos fosse uno, universale e neutro. Uno dei pilastri del dominio patriarcale era, infatti, proprio l’idea di una sua presunta universalità ed eternità. Per questo acquistano particolare valore gli studi sul matriarcato che, attenzione, non significa potere delle donne sugli uomini, ma indica l’origine, il principio femminile, perché la parola arché in greco significa anche principio.
La mostra Dea madre, che riflette su queste questioni, fa emergere l’autorità femminile che si basa sulla pratica di stimare e ammirare un’altra donna perché dall’ammirazione si può ricavare un potenziamento per sé e per tutte le altre. Le opere hanno come soggetto la riflessione, avviata ormai da tempo dalle due artiste, sui riti arcaici in onore della Dea Madre e di altre divinità femminili presenti nel territorio della provincia di Foggia, l’antica Daunia. Insieme alle rielaborazioni di immagini della Dea Madre diffuse in tutto il Mediterraneo, Pina Massarelli rivisita, infatti, l’Idoletto di Passo di Corvo e la Stele di Castelluccio. Wanda Delli Carri, con una pittura che imita la scultura, si ispira alle Danzatrici di Ruvo, all’Antefissa e alla Testa di Medusa di Arpi, alla Stele daunia femminile e alle figure degli ex-voto dalla Stipe del San Salvatore di Lucera.
Le opere di Wanda Delli Carri sono attraversate da un filo rosso che dando continuità le tiene insieme come facessero parte di un racconto unico. Il filo rosso rimanda a tante connotazioni appartenenti al corpo e al grembo femminile, dal cordone ombelicale al sangue mestruale. È anche il segno della passione amorosa, dei ricordi, degli affetti e dei legami familiari, ma è soprattutto il simbolo di una ricerca che parte dagli arcaici culti misterici di società pacifiche ed egualitarie che non conoscevano il senso del potere, del dominio e dell’avidità. Il filo rosso si snoda ricucendo simboli, un capitello, una spirale, uno spicchio di luna, le ali di un angelo, i capelli di Medusa, ecc. attraverso tempi e luoghi diversi. A volte è presente una sottile ironia come nell’opera Arche-tipa, in cui la Dea indossa disinvoltamente jeans e scarpe rosse con il tacco. Così come l’altra Arche-tipa che si ispira all’ex voto del III-II sec. a.C. della stipe di San Salvatore di Lucera che sfoggia un rossetto rosso sulle labbra carnose e sensuali. L’ironia è impiegata per allontanare il sospetto che l’artista voglia riproporre una memoria consolatoria dei tempi antichi. Qui e là fa capolino la figura di una donna dei giorni nostri, forse la stessa artista consapevole del proprio impegno di affidare all’arte il compito di ritrovare e far emergere la bellezza e l’incanto del nostro territorio, che non è oggetto di cura e di attenzione come dovrebbe.
Con Wanda dialoga Pina Massarelli, anche lei impegnata nella ricerca e costruzione di una genealogia femminile che la porta alle origini della civiltà della Dea Madre per ritrovare una nuova civiltà. Ma oggi come si può declinare il mito e come possiamo servircene perché abbia significato nel tempo attuale e ci aiuti, donne e uomini, a ritrovare una strada sensata e a mettere in connessione lo spirito antico con quello odierno? Come può un culto così arcaico offrire suggerimenti per arginare le crisi del mondo? Naturalmente sono domande aperte, la cosa importante è non adagiarsi in un atteggiamento consolatorio che non modifica il modo di rapportarsi alla natura e non trasforma la realtà. Però ci sono segnali molto positivi del cambio di civiltà con invenzioni in ogni parte della terra: tante donne e uomini si stanno interrogando sul rapporto con la terra e con i suoi beni e dando vita a pratiche e gesti simbolici e trasformativi.
La mostra di Massarelli e Delli Carri stimola la domanda su che cosa le donne possono apportare come contributo originale alla ricerca e alla riflessione sulla sacralità della terra che ha bisogno di attenzione e cura perché è nello stesso tempo un corpo con le sue fragilità. Non è un caso che Pina Massarelli dia alle sue dee titoli come Accoglienza, Conoscenza, Accudire il mondo. Alcune figure femminili ricordano nella postura donne che si possono incontrare sulla soglia delle case dei nostri paesi.
Pina Massarelli come ceramista, attraverso la manipolazione dell’argilla, uno dei primi materiali usati dalle donne nella preistoria per creare manufatti, ha ripercorso antiche tecniche, accostandosi alla cultura materiale e artistica del territorio di origine, la Daunia, esaminandone la decorazione cosiddetta geometrica e riconoscendovi i simboli della Dea Madre e cogliendone i segni della persistenza nel corso del tempo. Il riferimento ai gesti di cura e di accoglienza che appartengono al mondo femminile e che sono presenti nelle sue opere suggeriscono che non si tratta di un’operazione nostalgica nei confronti di una mitica età dell’oro, ma di una ricerca che riguarda il presente.
Ripensare l’atteggiamento che i popoli antichi avevano nei confronti della Madre Terra significa porsi il problema di proteggere la terra, i suoi doni e i suoi frutti. Capire il senso profondo della vita, l’interconnessione che esiste nella natura se vogliamo ritrovare una nuova civiltà basata sulla ricerca di armonia tra donne e uomini e con il mondo naturale.
Wanda Delli Carri (wandadellicarri16@gmail.com), artista di Foggia, dove vive e opera, si è dedicata fino al 2010 all’insegnamento dell’educazione artistica nelle scuole medie, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Foggia. Da alcuni anni ha intrapreso l’attività espositiva, ottenendo lusinghieri successi e riconoscimenti.
Pina Massarelli (giusyama@gmail.com) per oltre trent’anni ha lavorato la ceramica nel laboratorio Terra e Fuoco di Foggia, svolgendo un’intensa attività in corsi di ceramica con studenti di varie scuole di Foggia. Dopo essersi dedicata allo studio e alla rielaborazione di forme e decorazioni della ceramica daunia, da alcuni anni si è concentrata sulla scultura in ceramica con immagini che si riferiscono al culto della Dea Madre, secondo le ricerche di Marija Gimbutas