DAL 7 AL 10 FEBBRAIO 2013
“Sailing away to Paint the Sea”
Un diario di bordo dipinto a mano. Così si può descrivere il lavoro dell’artista Vittoria Chierici (vittoria-chierici.com, o sunymaritime.edu) Sailing away to Paint the Sea – in italiano Voglio viaggiare su una nave per dipingere il mare.
Vittoria da anni con un piede in Italia ed uno a New York, si è “imbarcata” in un’avventura davvero insolita lo scorso anno, quando ha deciso di navigare da Amsterdam (Olanda) a Cleveland (Ohio) su di una nave trasporto merci – Isolda, per descrivere l’esperienza del viaggio in mare attraverso l’arte. La pittrice, che ha studiato a Bologna dove si è laureata al Dams nel 1979, ha continuato ad arricchire la sua preparazione a New York, presso la Columbia University ed alla School of Visual Arts dove ha studiato fotografia, video e pittura.
Negli anni ’90 ha completato gli studi artistici con un biennio di produzione cinematografica alla New York Film Academy. I quadri della sua ultima collezione cento in tutto, esprimono la grande potenza del viaggio, del mare e del movimento. L’intento della sua esperienza che ha unito navigazione e arte è stato appunto quello di comunicare la forza della natura e anche la sua irrazionalità. La incontriamo per un caffè nel centro di New York, lei arriva carica di entusiasmo e con una borsa contenente dei pezzi della sua collezione, che ci mostra durante l’intervista.
«Il mio mezzo espressivo migliore è la pittura ma non mi definisco un’artista. Ho studiato sto storia dell’arte in Italia ma ho sempre desiderato dipingere fin da bambina, come un gioco. Poi dopo la laurea ho deciso di prendere dei corsi qui a New York in “visual art”. Ho iniziato con la fotografia e poi ho continuato con la pittura». Quando le chiedo del suo ultimo progetto, Vittoria non esita un istante, prende la borsa e ci mostra un pezzo della sua collezione. Il quadro che ci fa vedere è un omaggio al pittore francese Gustave Courbet, «è un personaggio che ho studiato prima di partire, molto affascinante», le chiediamo quindi la tecnica utilizzata «utilizzo fotografie stampate e poi riportate su tela. Ogni tela viene dipinta o montata su di una tavoletta. Volevo utilizzare il supporto in legno, per dare l’idea del diario di bordo. Se guardi dietro poi c’è un’etichetta che cita edizione speciale perché i quadri sono stati venduti prima di partire».
Proprio così, Vittoria è riuscita a finanziare il progetto grazie ai sostenitori – 85 divisi tra l’America e l’Italia – che hanno creduto in lei ed acquistato le opere prima della partenza. La mostra si sposterà in Italia a marzo, presso i Frigoriferi Milanesi (Mi). In quell’occasione, le opere saranno portate via a poco a poco durante la settimana e la mostra verrà “smontata” quindi, dai compratori stessi. Originale lo è davvero in tutto Vittoria, alla quale chiediamo anche, affascinati, come è stato navigare così a lungo ed una sua giornata tipo in mare. «Il progetto è nato nell’estate del 2011, non avevo fondi ma volevo fortemente fare questa esperienza. Così alla cieca, nessuno sapeva come sarebbero venuti i quadri, alcune persone hanno creduto in me e finanziato il progetto» – continua – «ho scelto il tragitto dall’Olanda all’Ohio perché innanzitutto volevo tornare in America su di una nave e non su di un aereo e poi perché ci sono tre forme di acqua: l’oceano, il fiume e il lago. Tre percorsi importanti e diversissimi». Così ci racconta come si è imbarcata, col suo studio portatile, una valigia con pennelli e tavolozza, due telecamere e una macchina fotografica. «La nave ha dei ritmi ben precisi, poi essendo un’imbarcazione cargo eravamo solamente quattro passeggeri più l’equipaggio. Un canadese giramondo, una ragazza olandese di 20 anni in cerca dell’American Dream ed un altro viaggiatore belga. Mi alzavo presto la mattina e come prima cosa facevo delle riprese sul ponte, ore e ore di filmati del mare e di tutto quello che ci circondava».
Il suo lavoro si svolgeva a poppa, su di un tavolinetto di legno ribattezzato “il tavolo del pirata” perché come spiega Vittoria, era pieno di incisioni e scritte di marinai che erano stati su Isolda prima di lei.
«Lì ho dipinto, guardando il mare, ma non volevo copiarlo, in realtà io non lo imitavo affatto. Mi sono ispirata alla rabbia, mia e del mare. Perché abbiamo avuto su 14 giorni di navigazione ininterrotta, almeno una settimana di mare mosso. A me piace molto, soprattutto perché da l’idea del movimento che io volevo catturare, dato dalla direzione delle onde, del vento. Il mare era forza 8 quando eravamo a largo dell’isola di Shirley, la barca si inclinava anche di 15 gradi. Adoravo quelle situazioni. Dipingevo soprattutto in quei momenti, cercando di coprirmi perché tirava un vento fortissimo, la mia idea era capire e rappresentare la rabbia del mare. L’acqua ha un movimento scientificamente studiato, ma è talmente casuale quello che poi noi vediamo, che mi affascina perché c’è una base scientifica e poi il caos».
Ci racconta poi come è stata la navigazione nell’Oceano Atlantico. «Non vedi niente per giorni, solo la linea curva della terra. Quando stavamo andando verso Terranova ho persino pianto. Per me l’Oceano rappresentava finalmente la stabilità. Mi trovavo su una nave – che è come una grande madre, perché è protettiva – però attorno avevo una sensazione di spazio infinito, dove non c’è costa e quindi neanche responsabilità. Non devi arrivare da nessuna parte. Puoi rimanere lì senza avere per forza una destinazione finale».