Maria Paola Forlani
E’ in corso presso la Collezione Peggy Guggenheim sino al 5 febbraio un’ampia antologica della scultrice francese Germane Richier (1902-59); la mostra si compone di una sessantina di opere tra sculture, piccoli gessi, disegni e litografie ed è curata da Luca Massimo Barbero. E’ certamente una riscoperta, se si considera che l’ultima retrospettiva dell’artista, a Saint Paul, risale al 1966. Germane Richier era molto amata da Peggy, che acquistò già nel 1960 una delle sue opere migliori, di impronta surrealista, <<Tauromachia>> del 1954, che figura nel giardino della Collezione. Il percorso inizia dai busti in bronzo (materiale prediletto dall’autrice) comprensivi di un <<Cristo>> del 1931 e di <<Régodias>> del 1938: si tratta di un figurativo classico, secondo l’impostazione ricevuta dal maestro Emile-Antoine Bourdelle. Per quanto riguarda il <<Busto di Cristo>>, questo venne realizzato dalla Richier in occasione della grande esposizione dal titolo “La Passione di Cristo nell’arte francese”, organizzata nel 1934 a Parigi, al Musée de la sculture comparée del Trocadéro e alla Sainte-Chapelle. Come nelle rappresentazioni religiose della Passione, questo busto ha la testa inclinata di lato. I capelli divisi da una scriminatura al centro sono segnati, come anche la barba, da strie incise con forza. La corona di spine non viene rappresentata se non attraverso una serie di sporgenze laterali sulla sommità del capo che intendono piuttosto suggerire la presenza. Il frammento di legno grezzo sul quale è collocata l’opera vuole forse evocare la croce. In questi anni a Parigi, dove si era trasferita nel 1926, la Richier frequentava Marino Marini, suo grande amico, Campigli e Giacometti. La svolta verso un’arte d’avanguardia avviene durante la seconda guerra mondiale: esule a Zurigo contatta Arp, Le Corbusier e Wotruba, optando per uno stile espressionista. Le figure di questo periodo, quali <<Il diavolo>> del 1950, o <<Griffu>> del 1952 sono scavate ed esili come quelle di Giacometti, ma avvolte da una ragnatela, uno schermo protettivo, che assume il significato di una difesa dall’aggressività dell’ambiente esterno. Di grande fascino è <<il Pipistrello>> del 1946 in cui Germane Richier decide di adattare la tecnica della stoppa intrisa nel gesso per realizzare le ali di quest’opera. La membrana di tessuto fissata all’armatura a vista delle ali esprime già un’idea di apertura di vita. Il corpo antropomorfo dell’opera è realizzato in creta, integrando elementi vegetali, solo nel 1956 l’opera verrà fusa in bronzo dorato che con tutto il suo splendore appare nella mostra veneziana. L’originalità di Richier e della sua anticipazione personale al clima materico e poetico dell’Informale è colto immediatamente dal pubblico e dalla critica. L’originalità dei suoi personaggi, la nascita di nuove creazioni come <<L’Homme-forêt (L’uomo-foresta, 1945), costituiscono un mondo plastico immerso nella natura, emerso dalla trasformazione della materia. Queste creazioni la rappresentano al suo ritorno a Parigi nell’ottobre del 1946 dove la precede la fama acquisita in Svizzera. La sua celebrità ha raggiunto l’internazionalità e le sue opere sembrano viaggiare senza sosta verso importanti musei e fondazioni artistiche. Nel 1947 lavora a uno dei suoi capolavori, <<L’Orage (Il Temporale>>, che completerà nel 1948, con il modello Tardone, di cui realizza anche il busto. Inventerà molto attorno a questo modello utilizzandolo per altre opere: <<L’Aquila>> nel 1948, <<L’Ogre (L’Orco)>> l’anno successivo, ma anche <<L’Hydre (L’Idra)>> e <<Le Pentacle (Il pentacolo)>> nel 1954. Lo ritrarrà per il dorso in <<La Montagne (La Montagna)>> nel 1955-56. Nel 1948 parteciperà alla Biennale di Venezia nel Padiglione francese in compagnia di artisti come Braque, Roult, Chagall e Maillol. Nel 1951 esplode uno scandalo relativo a una sua scultura di tema religioso <<Le Christ d’Assy (il Cristo di Assy)>>, 1950) che genera, per le sue straordinarie soluzioni formali, concepite come impossibili dal conservatorismo della Chiesa, delle controversi furiose. La scultura diviene oggetto per un dibattito interno alla Chiesa e a due differenti “fazioni” religiose. La critica internazionale appoggia Richier riconoscendone l’originalità e decretandone la sua grandezza come artista nella scultura contemporanea. L’anno successivo la Biennale di Venezia le dedicherà una personale al padiglione francese. E’ un momento centrale della consacrazione della scultrice, scelta come delegata delle nuove generazioni, e rara rappresentante femminile in un campo dominato da accademici o da uomini di chiara fama. In quell’occasione la Galleria d’Arte Moderna di Roma acquisterà la scultura di Richer intitolata <<L’Ogre (l’Orco, 1949)>>. La sua ricerca sarà sempre più rivolta in direzione surrealista, in una sorta d’ibridazione quasi Kafkiana tra l’uomo e l’insetto (<<Formica>> del 1953), a testimonianza di un profondo disagio esistenziale. Sorprendente è, nelle sale della mostra alla Peggy Guggenheim collection, l’intera attività ” grafica” di Germane Richier, sviluppatasi nel corso di più di dieci anni. L’interpretazione personale delle molte tecniche di stampa (incisioni su rame), così poco conosciute, restituiscono risultati inediti e sorprendenti. Germane Richier morirà il 31 luglio 1959 in una clinica di Montpellier. Così si concluderà questa vita troppo breve, intensa e creativa nel momento in cui l’artista godeva di una consacrazione mondiale e in cui ancora avrebbe voluto “sconvolgere la sua scultura”.