Introduzione all’opera di Marisa Merz
Donatella Franchi
Marisa Merz oggi ha 81 anni, e pur avendo sempre mantenuto una certa riluttanza ad esporre le sue opere, è riconosciuta a livello internazionale per l’originalità del suo linguaggio.[1]
Non rimane mai oscurata dalla figura del marito, Mario Merz, uno dei più importanti esponenti dell’Arte Povera, rispetto al quale mantiene una posizione autonoma. Penso che sia la qualità della sua pratica artistica, così aderente alla propria esperienza soggettiva, che le permette di non entrare in competizione con il marito, e di sentirsi libera di agire nel mondo dell’arte, che nella sua giovinezza era ancora fortemente segnato dal pensiero maschile.
“Non c’è stata divisione tra la mia vita e il mio lavoro”, dice Marisa Merz, e infatti l’originalità di questa artista consiste nella particolare intensità con cui nelle sue opere fa interagire e tiene in tensione l’energia della creazione con l’energia dei rapporti.
Le sue opere, piene di stupore e di mistero, nascono dal rapporto con la vita quotidiana, dal mondo degli affetti. A partire dal 1967 costruisce alcune “Altalene”, per la figlia Beatrice. Sono opere d’arte e nello stesso tempo oggetti reali, veri e propri giochi destinati a coinvolgere anche fisicamente chi guarda, un esempio di come in questa artista la piena corrispondenza e fusione tra arte e vita, sia capace di offrire nuove modalità per dialogare con l’opera d’arte, che diventa un invito alla condivisione.
I materiali che usa sono duttili e facilmente malleabili, come la cera, i sottili fili di nylon e di rame dai raffinati effetti cromatici, che lei lavora con i ferri, facendone delle grandiose strutture musicali modulari e delle forme geometriche, o con cui realizza lettere dell’alfabeto, e scarpette; usa l’alluminio, il disegno a grafite, il pastello a cera su grandi fogli di carta, l’argilla che reca le tracce dell’impronta della mano (le sue sculture sono di argilla cruda, dipinte o rivestite d’oro), e oggetti della vita quotidiana, come il sale dentro le tazze… I suoi disegni, ritratti del marito, autoritratti, volti di donna, sembrano non essere finiti, sono tessuti di segni che danno l’idea di poter essere continuati in qualsiasi momento, spesso appaiono associati ad oggetti che appartengono alla quotidianità, in originalissime e sempre diverse installazioni.
Le opere di questa artista rimandano alla ripetitività dei gesti delle donne nella vita quotidiana, che lei rende visibili e toglie dall’insignificanza, trasformandoli in visioni. Per questo i suoi lavori non hanno come scopo una forma compiuta e definitiva. Sono forme aperte, in divenire, che crescono e si sviluppano, che si mettono in dialogo con lo spazio e lo trasfigurano caricandolo di energia, che invitano a partecipare.
Carla Lonzi oggi avrebbe la stessa età di Marisa Merz, sono nate entrambe nel 1931. Non mi risulta che si siano incontrate.
Eppure i lavori di questa artista mi fanno pensare a quello che dice Carla Lonzi sull’importanza di mettere a fuoco la cura del vivere nelle pratiche quotidiane delle donne, quando nel suo diario
[1] Partecipa a rassegne internazionali come Documenta di Kassel e a numerose Biennali di Venezia, dove nel 2001 riceve il premio speciale alla carriera, e dove è presente nel 2011 con una personale alla Fondazione Querini Stampalia. Dal 15 maggio al 16 settembre del 2012 alla Fondazione Merz di Torino è in corso una sua mostra antologica dal titolo “Disegnare disegnare ridisegnare il pensiero”.