3 Aprile 2011
IO DONNA

La forza creativa del dubbio

Solo attraverso le domande si va avanti nella vita dice Caroline Bourgeois. E lo dimostra organizzando nei vecchi magazzini di Punta della Dogana, a Venezia, una grande mostra d’arte contemporanea che mette tutto in discussione. Come fanno da sempre gli artisti. E le donne.

di Angela Frenda


Ingresso riservato solo a chi ha dubbi. E se li vuole tenere. Perché la mostra che apre il 10 aprile a Punta della Dogana, a Venezia, ha un intento dichiarato già nel titolo
dal richiamo brechtíano: Elogio del dubbio. Un’invenzione della curatrice, la svizzera Caroline Bourgeois: «Dubitando si va avanti, si procede nella vita. E gli artisti sanno fare tante domande…». È lei che ha preso in mano í vecchi magazzini della Dogana da Mar, il centro di arte contemporanea dove la fondazione del magnate Francois Pinault espone in modo permanente, dal giugno 2009, una selezione di opere della sua gigantesca collezione.
Ma a dubitare di pìù, in questo evento, saranno le donne: «È oggettivo: noi ci poniamo molti interrogativi» sorride Bourgeois strizzando gli occhi chiarissimi. E, mentre si toglie l’elmetto da operaio, ci accoglie nell’ingresso della Dogana. Fuori, un sole improvviso accompagna i turisti in giro per Dorsoduro.
Nelle stanze dell’edificio seicentesco restaurato dall’architetto giapponese Tadao Ando, invece, molti artisti stanno completando le loro installazioni: operaí, fiamma ossidrica, cemento… Il cantiere procede in una tranquilla frenesia.
È stata Bourgeois a volere questa connotazione “al femminile” per la grande mostra che rimarrà aperta fino alla fine del 2012. Su 19 artisti (tra cui Jeff Koons, Maurizio Cattelan e Bruce Nauman), sono quattro le donne protagoniste, oltre alla stessa Caroline.
Fanno parte della collezione Pinault Roni Horn ed Elaine Sturtevant. Mentre ad altre due sono affidati i progetti speciali: Julie Mehretu e Tatiana Trouvé. A loro il compito di “creare” opere sitespecific nelle due stanze simbolo della Dogana.
Ma attenzione: guai a parlare di quote rosa, qui dentro: «Trovo molto pericoloso segnare una dif-ferenza: è colonialismo» avverte Bourgeois. «La vera parità? Quando si annullerà l’identità sessuale nel giudicare».
Julie Mehretu è al lavoro nella “scatola” di calcestruzzo che Tadao Ando ha creato al centro dell’edificio, e che comunica con tutti gli altri ambienti. Il cuore della Dogana.
Sta ultimando con i suoi collaboratori i due grandi quadri che compongono Untitled. «Ti piacciono?» chiede, torcendo un capello nerissimo. Quarant’anni, nata ad Addis Abbeba, omosessuale, con la sua compagna, l’artista Jessica Rankin, ha avuto due bimbi: Cade e Haile. È con-siderata una star dell’arte contemporanea internazionale, ma per questo progetto dice di essersi emozionata: «Volevo usare questa stanza come il punto di una cartina geografica dove due città, Venezia e New York, due isole, dialogano e si sovrappongono tra interessi economici, politici e sociali».
Sorpresa che siano due donne ad avere i progetti speciali? «No. Il fatto stesso che io, pittrice di colore e donna, sia qui oggi, lo devo a quelle che in passato hanno combattuto per me. Ma ora la libertà, almeno nel m ío campo, è tangibile. Io rappresento il cambiamento».
PIÙ AVANTI, quasi alla fine del percorso, si arriva nell’ambiente affidato a Tatiana Trouvé: la stanza dove venivano smistate un tempo le merci. Esile, quasi eterea, 42 anni, è nata a Cosenza ma poi si è trasferita in Senegal dove il papà ha insegnato architettura. Oggi vive a Parigi ed è anche lei molto quotata sulla scena mondiale. Per Punta della Dogana ha realizzato l’opera Appunti per una costruzione: «Sono partita da questo spazio per ridefinire le cose: quì le merci entravano dal Canale della Giudecca e uscivano, mutate, sul Canal Grande. Io stessa mi sono sentita intrappolata. E ho cercato di portare tutto il mio lavoro, anche nell’assenza.

 

Nota di Zina Borgini.

Pubblico sulla rubrica da me curata questa intervista a Caroline Bourgeois, perchè l’ho trovata interessante e perchè sottolinea e da voce al lavoro di molte artiste che hanno trovato una collocazione importante in tutte le manifestazioni d’arte. Non sono daccordo con lei però su quello che ho sottolineato nel suo disquisire, ancora una volta devo chiarire a una donna che si esprime nel mondo dell’arte che l’identità sessuale ormai non è più un disvalore (colonialismo), ma è un plusvalore, una differenza che non si può cancellare anche perchè le opere stesse delle donne parlano e la annunciano. Piuttosto bisogna sostenerla con forza per non essere discriminate, certo non servono quote rosa ma neppure la cancellazione, tanto meno l’omologazione. Per avere riconoscimenti andiamo fiere e a testa alta di essere donne, soprattutto di questi tempi dove il potere maschile fa solo danni anche in campo artistico (una parità che certo non ci farebbe onore).

 

 

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