16 Giugno 2024
(Robinson - la Repubblica

Cuore e parola, l’artista secondo Lonzi

di Brunella Torresin


Torna l’opera che la grande femminista dedicò ai suoi amici più geniali: Pascali, Fontana, Accardi, Twomby. Fotografia collettiva di una rivoluzione


Carla Lonzi pubblicò Autoritratto nel 1969,con l’editore De Donato: era ed è rimasto il suo ultimo lavoro di critica d’arte. Da quel momento e fino alla sua scomparsa, nel 1982, si sarebbe dedicata anima e corpo alla teoria e alla militanza femminista, con l’elaborazione di testi ancor oggi fondativi. Già in queste pagine le ragioni della sua svolta esistenziale sono esposte con perentoria chiarezza: «Quando mi sono trovata a fare la critica d’arte, ho visto che era un mestiere fasullo, completamente fasullo», afferma, e ne parla già al passato. Autoritratto nasce dalla raccolta e dal montaggio di una serie di conversazioni con quattordici artisti, registrate tra il 1965 e il 1969: Accardi, Alviani, Castellani, Consagra, Fabro, Fontana, Kounellis, Nigro, Paolini, Pascali, Rotella, Scarpitta, Turcato, cui si aggiungono le domande, senza risposta, rivolte a Cy Twombly nel 1962.

Un libro formidabile che, dando seguito alla ripubblicazione delle opere complete di Carla Lonzi iniziata con Sputiamo su Hegel (2023), La Tartaruga restituisce al pubblico in un’edizione curata da Annarosa Buttarelli (pp.416, 22 euro). Non solo l’epoca e il luogo delle registrazioni sono diversi, ma varia anche la composizione degli interlocutori che partecipano a ciascun incontro. Nel trasporne i contenuti dal parlato allo scritto, Carla Lonzi lavora sul montaggio e crea una sorta di flusso di coscienza, o autocoscienza, che solo di rado interrompe con le proprie osservazioni.

Definisce Autoritratto «un libro un po’ divagato». Possiamo intuire le domande – sulla poetica, sulla tecnica, sull’ontologia stessa dell’arte, la politica, il mercato, il pubblico, la ricerca in divenire – ma non sempre sono dichiarate. È dichiarato, invece, lo scopo di questo convivio: dimostrare che l’artista è naturalmente critico e che l’opera d’arte rappresenta naturalmente una «possibilità di incontro e un invito a partecipare» a «un’altra condizione dell’uomo».     

Come nessun altro, la natura “implicitamente” critica dell’artista è innervata di vissuto e di tecnica, di capacità immaginativa e sfondamenti politici, di potenza simbolica e di evocazione. È il motivo per il quale nel 1969 Carla Lonzi inserisce, come racconto parallelo al testo, fotografie le più diverse, pubbliche e private: immagini degli artisti da bambini, da soli o con i genitori, adulti assieme a mogli e compagne, immagini di opere e immagini realizzate in occasioni espositive. In copertina, anziché il Concetto spaziale di Fontana scelto all’epoca dall’editore, avrebbe desiderato l’immagine che ora Claudia Durastanti, curatrice editoriale de La Tartaruga, ha voluto per questa edizione: la fotografia di Teresa di Lisieux (1895) che interpreta Giovanna d’Arco seduta in catene nella sua prigione.

Cosa c’è sullo sfondo di Autoritratto? Ovviamente il Sessantotto, il Maggio francese, la Biennale contestata. «La nostra società – scrive Lonzi nella premessa – ha partorito un’assurdità quando ha reso istituzionale il momento critico distinguendolo da quello creativo e attribuendogli il potere culturale e pratico sull’arte e sugli artisti». E davanti a sé? Lo dichiara Jannis Kounellis quando osserva che noi «abbiamo fatto di tutto per abolire il mestiere dell’artista e, una volta abolito il mestiere, non per fare un altro mestiere, ma per essere un uomo diverso». O una donna diversa: perché, come dice Carla Accardi, gli uomini «se lo devono levare, eh, un poco, questo terrore della donna che ragiona. Il Potere io l’ho conosciuto, certo che l’ho subìto: come educazione, come ordinamento della società stabilito dagli uomini, con la forza, con l’addomesticamento, con l’asservimento, con l’intontimento, insomma».

È la magnifica utopia dell’artista che, con le parole di Luciano Fabro, si spinge a «prendere possesso del mondo, aprire una breccia attraverso cui possano passare tutti coloro che sono disponibili». Pino Pascali, all’epoca della pubblicazione di Autoritratto scomparso da un anno, confessa che «io cerco di fare quello che mi piace fare, in fondo è l’unico sistema che per me va bene», il che non esclude «una propria identità morale». Lucio Fontana, portentoso, preconizza la liberazione dell’uomo dalla materia: «Diventerà un essere semplice, come un fiore, una pianta e vivrà solo della sua intelligenza, della bellezza della natura e si purificherà del sangue». Ancora Carla Accardi usa un’espressione bellissima nel descrivere il proprio lavoro: «Mi piace che uno capisca dove il mio cuore tocca e dove la mia parola, invece, circonda». È una sintesi perfetta anche per l’altra Carla – l’amica, la femminista, la rimpianta Carla Lonzi.


(Robinson – la Repubblica, 16 giugno 2024)

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