di Francesca Bonazzoli
È una fortuna che mostre e musei siano (per ora) rimasti aperti. Poter entrare a Palazzo Reale e visitare da oggi la nuova rassegna «Divine e Avanguardie» è un piacere che risolleva l’umore. Dentro le sale (sicure e controllate) l’atmosfera avvolgente delle luci basse, i colori accesi della pittura russa, le tante storie curiose raccontate attraverso didascalie ben scritte, offrono qualche ora di impagabile svago. La mostra è dedicata alle donne nell’arte russa dal XIV al XX secolo in un percorso di novanta opere dal museo di Stato russo di San Pietroburgo, scandito in otto capitoli. Il colore della moquette a pavimento distingue le due grandi sezioni: il grigio delle sale iniziali segnala che il tema femminile è l’oggetto delle opere esposte; il rosso della parte finale indica invece che tutti i lavori sono stati realizzati da artiste.
Si comincia con le icone dove Madonne (la Madre di Cristo è la protettrice della Russia) e sante rilucenti di oro inculcavano a chi le guardava l’idea della donna santa e madre, pura e sacra. E come l’immagine riflessa nello specchio, la sala successiva presenta una parata di zarine, figure quasi altrettanto divine che salgono al potere con una propria identità grazie alle riforme di Pietro il Grande: è dopo la sua morte nel 1725 che ha infatti inizio il periodo del regno al femminile. L’icona assoluta è Caterina la Grande di cui sono presenti due ritratti: quello ufficiale, nella massima esibizione del potere; e quello da anziana, con i capelli grigi che sfuggono dal cappello.
Il percorso porta poi alle contadine che condivisero con gli uomini fino al 1861 la condizione di servi della gleba, ma se possibile con una vita ancora più dura perché subordinate anche alle rigide norme patriarcali, illustrate in alcuni quadri della sezione dedicata alla famiglia. Per esempio «Presentazione della promessa sposa», di Grigorij Mjasoedov, ritrae il rito umiliante dell’osservazione scrupolosa della candidata sposa, nuda davanti ai futuri parenti. È solo con la Rivoluzione del 1917 che si arriva alla parità dei diritti e le donne lavoratrici, che ora faticano nei campi come in fabbrica, vengono trasformate in eroine patriottiche. Nel campo dell’arte, personalità come Natalija Goncharova, Olga Rozanova o Liubov’ Popova conquistano il ruolo di comprimarie nel fertile terreno delle Avanguardie che ispirano anche l’arte europea: alcuni di questi nomi sono proprio quelli riscoperti dalla critica Lea Vergine, da poco scomparsa, in occasione della storica mostra allestita nel 1980, sempre a Palazzo Reale.
Infine arriva il 1932, quando il Partito impone il linguaggio unico del Realismo socialista e le altre forme di creatività vengono represse. La mostra si conclude quindi con il modello (e il video della sua realizzazione in scala monumentale) della celeberrima scultura di Vera Mukhina «L’operaio e la kolkoziana» per il padiglione dell’URSS all’Expo del 1937 a Parigi, dove fronteggiava l’aquila del Reich.
(Corriere della Sera – Milano, 28 ottobre 2020)