A Terni L’omaggio a «Tinissima». Bella e comunista, e ai suoi scatti crudi e sensuali
Il percorso La storia di un’artista che abbandonò la macchina fotografica per la rivoluzione
Nacque a Udine nel 1896, emigrò in America a 17 anniTinissima la chiamava sua mamma, e «Tinissima» è il titolo della mostra a Terni che celebra
Tina Modotti, attrice, rivoluzionaria,fotografa, spia, crocerossina, attraverso le sue fotografie.
Di Sandra Petrignani
Le fotografie di Tina Modotti che ritraggono dettagli di fiori, primissimi piani di calle, rose, lilium, rimandano ai quadri dell’americana Giorgia O’Keefe, successivi di qualche decennio,: ne hanno la stessa indecente sensualità, un carnale amore per la natura e la vita. E’ la sorpresa più grossa che mi riserva la mostra Tinissima, aperta fino al 4 aprile a Terni, Palazzo di Primavera. Non avevo mai visto queste fotografie. I primi piani di mani sì, li conoscevo, li vedi una volta e non li dimentichi più, mani stanche e impolverate di operai, di contadini, di vecchi, mani umili, delicate e forti insieme. Poi ci sono i bambini, quanti bambini seri negli scatti della Modotti, pensierosi dentro i loro stracci. Uno per tutti: un piccoletto di sei anni all’incirca, interamente coperto da una sciarpa sporca e con un cappelletto di paglia storto in testa, solo e preoccupato, contro lo sfondo di aridi cactus giganti a sottolineare la durezza della sua ancora breve esistenza.
Non basta qualche lieve sorriso sulle labbra di donne fiere, quella che porta una bandiera rossa tanto più grande di lei, quelle che avanzano con cesti e vasi sul capo, una concentrazione sofferta sui loro volti come su quello dell’autrice: gli occhi fondi e neri di Tina, il disegno amaro della bocca, quasi presaga di un destino difficile, luttuoso, calunniato. Quante vite ha avuto Tina Modotti? Attrice, fotografa, rivoluzionaria, spia, crocerossina. «Mi considero una fotografa, e niente altro» aveva detto di sé. Ma per affermare che non c’era niente di artistico nel suo lavoro, perché la parola arte la metteva a disagio, le dava «una sensazione sgradevole».
Non le piaceva l’aura di eccezionalità intorno agli artisti, lei era dalla parte della vita, con le sue tragiche ingiustizie. E quella scelse a un certo punto, buttando la macchina fotografica alle ortiche e votandosi totalmente alla rivoluzione comunista, che l’avrebbe tradita. Friulana di Udine, nata nel 1896 da famiglia modesta, comincia a lavorare in una filanda a tredici anni, a diciassette s’imbarca per San Francisco per raggiungere il padre emigrante. Fa la modella, l’attrice, diventando una diva del cinema muto. Poco più che ventenne sposa un artista e poeta bohèmien dai folti riccioli, che morirà in Messico per un’improvvisa malattia cinque anni.
Intanto Tinissima, nome che le dava la madre da piccola giocando a rendere superlativo il diminutivo di Assuntina, ha già conosciuto il grande fotografo statunitense Edward Weston, con cui intreccia un rapporto nutritivo e passionale. Lui, famoso seduttore, capitola per Tina, ne è gelosissimo, ma la asseconda nel sogno anticonformista del libero amore. E intanto la fotografa mentre prende il sole, completamente nuda, sensualissima, sulla terrazza della loro casa di Città del Messico, dove si sono trasferiti, dove frequentano Diego Rivera, Frida Khalo e gli altri comunisti rivoluzionari. E’ proprio Tina durante una festa in quella sua casa ospitale, luminosa, detta «la nave» per l’atipica forma angolare, a presentare Frida a Diego, di cui probabilmente la bella italiana, presente in tanti murales dell’artista messicano, è una delle numerose amanti.
Per la seconda volta nella vita Tina diventa famosa, una fama che non vuole e anzi cerca di sfuggire, una fama di scandalo oltre tutto: le foto che Weston le ha scattato le creano intorno un’aura pericolosa, da femme fatale che non è. E’ anzi, a detta di chi l’ha conosciuta, una donna modesta e tranquilla, dolce, ma intransigente. Una che parla poco e guarda molto, direttamente e attraverso l’obiettivo che Weston le ha insegnato a usare. Era un fotografo lo zio friulano Pietro Modotti e il padre, Giuseppe, aveva aperto uno studio fotografico a San Francisco. Tina era dunque in qualche modo predestinata alla fotografia.Ma poi conosce il grande amore, il giornalista rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella con cui passione e politica si mescolano in un incontro incandescente. E’ il 1928, la favola dura pochissimo. Il 10 gennaio dell’anno successivo Mella viene ucciso, mentre cammina di sera abbracciato a Tina. Vittima del governo cubano a cui si opponeva? Stroncato da un sicario di Stalin, che non ammetteva deviazioni anarchiche? Qui il destino di Tina s’incrina per sempre, da ora in poi sarà una marionetta della storia che la gioca in diversi scenari di cui lei non sembra più avere il controllo. Viene accusata del delitto di Mella per motivi passionali. Diego Rivera si batterà come un leone per dimostrare la sua innocenza. Ma la vita di Tina è spezzata. L’anno successivo abbandona il Messico. Sulla nave verso l’Europa c’è anche l’ambiguo Vittorio Vidali, un attivista staliniano dai molti scheletri nell’armadio. Forse ha perfino ucciso lui Mella, forse, per aver via libera con Tina. Ma Tina non sospetta niente, è sola.
Tenta di resistere alle insistenze di Vidali di trasferirsi in Russia. Va da sola a Berlino, dove già aleggia un clima prenazista. Qui potrebbe diventare una fotoreporter, questo le viene proposto. Ma lei scrive a Weston: «Non sono adatta, non sono così aggressiva. La mia fotografia ha bisogno di tempi lenti, di calma». E’ la rinuncia definitiva alla macchina fotografica. Ed è probabilmente la scelta peggiore che fa: accetta di entrare nel Comintern, diventa una spia per il Soccorso Rosso Internazionale di Vidali. Nel ’33 è a Parigi a soccorrere i rifugiati politici, nel ’36 volontaria nella guerra di Spagna, fa la cucina, cura i feriti. Vede con i suoi occhi gli orrori di cui si macchiano «i suoi». Forse finalmente le crolla il velo su Vidali, al quale la storia s’incaricherà di attribuire fino a 400 omicidi di anti-staliniani. Nel 1939, irriconoscibile, invecchiata, stanchissima Tina Modotti torna in Messico, il paese delle illusioni, dove aveva conosciuto una breve felicità. Esce dal silenzio soltanto per dichiarare il suo dissenso sul patto di non aggressione fra Stalin e Hitler. Forse firma così la sua condanna a morte. Tre anni dopo muore misteriosamente in un taxi.
Per un infarto, hanno detto. Ma c’è chi sostiene che Vidali si trovava anche lui di nuovo a Città del Messico. Sarebbe morto dopo molto tempo, nel 1983, senatore della Repubblica italiana, portando nella tomba i suoi segreti. Un bel film-documento realizzato da Silvano Castano per Cinemazero e la Cineteca del Friuli, utilizzando i materiali degli Archivi Modotti di Pordenone, è in vendita nella sede della mostra di Terni.