di Francesca Pasini
Loredana Longo spara contro letti nuziali, tavole imbandite, salotti; incendia carte da parati; marchia a fuoco tappeti e velluti di seta. Perché? Forse è una metafora della Sicilia violenta, lei è nata a Catania. Però, una sua foto di una stanza con toilette in frantumi mi aveva fatto venire in mente la disperazione di una donna in una qualunque casa borghese di cattivo gusto.
Allora non la conoscevo ed ero stata prudente: ” è la mia reazione, Lei magari vuole indicare altro”. Oggi penso che Loredana compia un attacco al cuore del sentimento d’ordine non rispettato, o meglio, troppo rispettato.
Qualche mese fa, descrivendo l’opera Tutto è come sembra, per la Vetrina della Libreria delle donne di Milano, mi dice: “Io non sono libera, io mi sento libera”. Ho un flash: la violenza alla quale dà figura è il contrappasso per riconoscere la differenza tra essere e sentirsi libera.
Riconosco nelle sue carte da parati bruciate, tagliate, una metafora dell’ustionante contatto con l’ordine, le regole, e la loro messa in discussione per uscire da quell’eccesso di rispetto che mi aveva fatto immaginare una donna disperata davanti allo specchio, mentre si trucca.
Resto comunque sorpresa dalla sintesi precisa dei resti delle sue distruzioni, dove non si sente il rimbombo dello sparo, non c’è la devastazione incongruente tipica delle armi. Questa “pulizia” è il piede di porco con cui Loredana forza l’immagine per alludere all’essenza della violenza reale e non mitica. Se tutto fosse più polveroso e casuale, sarebbe facile riconoscere la paura e l’inadeguatezza davanti a una pistola puntata contro di te, invece l’ordine con cui conglomera i resti in sculture e installazioni, mi fa provare una cosa, forse più terribile: la seduzione della violenza.
E una seduzione visiva, non ha che fare con un’ipotetica giustificazione. L’ho percepita chiaramente alla sua mostra “Piedediporco” a Milano alla galleria Francesco Pantaleone (fino al 3 febbraio). Vedo che il tabù rispetto al “fascino della morte da arma da fuoco” va oltre i film contemporanei su aggressioni di ogni tipo e si incista nel fondo della retina. Accettiamo quelle immagini perché sono “attutite” dalla finzione degli effetti speciali. Loredana va all’osso della seduzione, non ci sono effetti speciali, ma forme precise, belle, preziose, pulite, non c’è il rifugio dell’orrore fittizio rispetto all’essenza reale e metaforica della violenza.
Nelle figure depurate dal gesto aggressivo, non c’è catarsi, né risposte. C’è un tremendo aspetto seduttivo. È tremendo perché non si può equivocare: quelle figure sono plasmate con la terra cruda della ceramica, ma il colpo finale proviene da un’esplosione.
Due mattoni di ceramica d’oro, cotti al terzo fuoco, trapassati e contorti da un piede di porco si insinuano agli inizi di un muro di mattoni da edilizia rossicci. In un cassone in mezzo a quelli industriali frantumati ce ne sono alcuni, deformati da lei e realizzati in biscotto di ceramica, sono contorti come corpi durante uno sforzo. Anche qui la tentazione legittima di abbinarli ai soprusi e ai crimini dell’industria edilizia, in Sicilia e nel mondo, è forte. Poco lontano, però, il mattone d’oro trafitto dal piede di porco si presenta con la maestà della scultura (Piedediporco, 2017). L’inganno seduttivo non è un commento a lato, è la materia stessa della visione.
Se penso alle Piramidi d’Egitto non riesco a non pensare a quanti schiavi-operai saranno morti, anche oggi gli incidenti sui ponteggi sono notizie quasi quotidiane.
Il mattone d’oro di Loredana mi sembra il simbolo della grandiosa impresa che contraddistingue l’abitare rispetto alle tane e ai nidi dei compagni di pianeta animali. Glorifica la nostra costruzione, è bellissimo, ma… Ma, colpito al cuore dal piede di porco, mostra in simultanea la seduzione dell’oro e l’effrazione. L’impossibilità di separare l’una dall’altra è, ovviamente, il nodo cruciale della violenza. Non è un concetto, è una figura che sta lì, non descrive, non racconta, si fa guardare. Ho visto la forza esplosiva/distruttiva della seduzione.
L’arte visiva fa questo, perché porta a sé.
In mostra ci sono anche, infilzati su delle picche, dodici calchi del suo pugno in ceramica dolce, fatti esplodere prima della cottura (Fist, 2017). Allude alla violenza individuale, emotiva, quella che non si riesce a trattenere e che in genere ci si ritorce contro? Può darsi. Voglio pensarci.
Francesca Pasini
Mostra visitata il 22 novembre 2017
Dal 22 novembre 2017 al 3 febbraio 2018
Loredana Longo, Piedediporco
Galleria Francesco Pantaleone
Via San Rocco 11, Milano
Orari: da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19.30
Info: www.fpac.it, info@fpac.it
(exibart.com, 17 gennaio 2018)