IN
DIFESA DI QUALE FAMIGLIA? Di
Chantal Podio Noi
siamo in difesa della famiglia
affermazione lapidaria, un po' altisonante
utilizzata da più parti ultimamente per chiudere in partenza il dibattito
sul riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. Come se tale affermazione
contenesse in sé un'ovvietà che a pensarci bene è tutt'altro
che ovvia. Che cosa si vorrebbe difendere e da quali pericoli? Riecheggia
in sottofondo lo spauracchio di una possibile "sovversione dell'ordine sociale",
una messa in discussione "di valori sociali"fondanti. Famiglia e
sociale quindi è la prima associazione che mi viene da fare. Nella Costituzione
la famiglia viene in effetti definita come "società naturale"
, come quindi formazione che ci si attende in grado di accompagnare un individuo
nella sua crescita, educandolo secondo le norme del gruppo sociale a cui appartiene. Funzione
educativa quindi
capacità di trasmissione tra generazioni non solo
di patrimoni ma in primis di una visione del mondo, delle possibilità di
libertà e di realizzazione dei desideri ma soprattutto dei limiti al desiderio
stesso. Terreno di confronto- scontro tra le differenze: i generi, le generazioni,
le stirpi. Primo incontro col limite, col "questo non si può"
reso "familiare" e di conseguenza non troppo angosciante perché
mediato dagli affetti. La famiglia in questo senso è il luogo in cui
viene svolta una funzione simbolica che "forma l'umano" a partire da
un piccolo di uomo. Le gerarchia vaticana propone spesso come modello familiare
la Sacra Famiglia e forse non ha tutti i torti. Ma cos'è che costituisce
la struttura portante di questa famiglia? Il fatto che sia costituita da un
uomo, una donna e un bambino o piuttosto da una madre , un padre e un figlio? La
paternità e la maternità sono vincolate in modo indissolubile al
sesso maschile e femminile rispettivamente o sono piuttosto funzioni, posti simbolici
che possono essere variamente incarnati? L'esperienza comune mostra come la
maternità e la paternità spesso non siano prerogativa esclusiva
dei genitori biologici: basti pensare ai figli cresciuti dalle balie, dai nonni,
dai genitori adottivi, a volte da un unico genitore. Ma a volte partire dall'esistente
può spaventare
la vita non può essere certo ingabbiata in una
ideologia. A livello "ideale" è già ritenuta non del
tutto "sana" la posizione di chi ha un unico genitore che svolge entrambe
le funzioni , ancora di più lo è la possibilità che
la funzione materna o paterna non siano svolte rispettivamente da un uomo ed una
donna. Che una donna possa fare da padre o un uomo da madre viene da molti
vissuto come una perversione. Ma è davvero così raro? Gli
insegnanti, gli educatori , gli analisti e coloro che svolgono in generale lavori
di tipo relazionale non svolgono già queste funzioni? La mia esperienza
di psicoterapeuta mi ha fatto più volte sperimentare come alcuni pazienti
mi percepiscano come materna, in una veste di maggior accoglienza, o paterna,
in una funzione più normativa, e a volte in una posizione oscillante tra
questi due poli. Perché ci ostiniamo ad appiattirci sul piano reale
quand'è proprio l'aspetto simbolico della realtà che ci permette
di spiccare il volo verso mondi inattesi e affascinanti? Come se ancora si
ritenesse che solo una coppia eterosessuale sia equipaggiata per un'adeguata funzione
educativa: "la famiglia è fondata sul matrimonio" tuonano molti
dall'alto. Ma altri sottolineano che la progettualità della famiglia
non si limita alla procreazione e tanto meno alla riproduzione, alla stregua
del mondo animale, bensì si estende alla generatività , alla capacità
cioè di dare forma umana,di generare un bene relazionale. Ciò
però implica il superamento dell'idea, molto radicata, dell'omosessualità
come pratica sessuale piuttosto che relazione affettiva e sessuale
il fantasma
della relazione simbolicamente sterile e priva di progettualità è
dietro l'angolo. Se una relazione non riproduttiva fosse priva di valore potrebbe
essere messa in discussione anche la legittimità delle coppie eterosessuali
sterili e ancora di più di quelle coppie che scelgono di non riprodursi
; quest'ipotesi mi sembra si contesti già da se. Ciò che fa "tessuto
sociale" è la capacità di mettersi in relazione con la differenza,
con l'altro che non necessariamente è "dell'altro sesso". La
richiesta di un riconoscimento giuridico da parte delle coppie omosessuali è
a mio avviso il frutto della consapevolezza del valore sociale della propria relazione
e il legislatore è chiamato a fungere da terzo simbolico perché
la funzione primaria della legge è proprio quella di "legare",
di far si che dei soggetti possano prendere un impegno che rendono pubblico. In
fondo credo che in questo l'orientamento sessuale non sia determinante: il desiderio
di rendere "pubblica" e non solo "privata" la propria relazione,
"urlando" al mondo il nome di chi si ama è un 'esperienza condivisa
da molti.
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