il manifesto
- 04 agosto 2001
"Il
primo responsabile resta il governo"
IDA
DOMINIJANNI
Martedì
si insedia il comitato d'indagine parlamentare sui fatti di Genova. Uno
strumento debole, al punto in cui stanno le cose. Che cosa può
e che cosa deve fare?
I fatti sono gravi, e due in particolare - la perquisizione alla scuola
Diaz e i maltrattamenti nella caserma di Bolzaneto - risultano ormai acclarati.
Bisogna capire come si sono svolti effettivamente e sotto quali comandi:
il comitato deve accertare la catena delle responsabilità. Senza
riserve, e senza retropensieri su chi ha nominato i vertici della polizia.
L'argomento della destra, che degli eventi di Genova sia corresponsabile
il centrosinistra che ha preparato il G8 e ha nominato i vertici suddetti,
è facilmente smontabile. Le cose accadono quando accadono, e sotto
la responsabilità di chi la detiene in quel momento. Forse il centrosinistra
avrebbe potuto dirlo con più forza.
Se avessimo avuto un comportamento parlamentare più coerente, avremmo
evidenziato meglio questo elemento della responsabilità politica.
Che comunque, via via che passano i giorni, non diminuisce ma cresce.
Il governo è responsabile tre volte: per i fatti, per aver mentito
clamorosamente negandone l'evidenza per quarantott'ore, e per aver smentito
se stesso ora che destituisce i più alti funzionari di polizia.
Veramente non i più alti: paga il questore di Genova, pagano Andreassi
e La Barbera che erano davanti alla Diaz quella notte, ma De Gennaro no.
Perché? Eppure le forze dell'ordine di Genova sostengono di avere
agito in stretto collegamento con Roma, e De Gennaro a sua volta sostiene
di avere sempre tenuto informato il ministro.
C'è chi sostiene che De Gennaro esce comunque indebolito dalla
destituzione di Andreassi e La Barbera, c'è chi aggiunge che fra
poco toccherà anche a lui. La verità è che la sequenza
delle responsabilità non è ancora tutta chiara. Qual è
stata la catena di comando? De Gennaro sapeva o no? E se De Gennaro sapeva,
Scajola non sapeva? In uno stato democratico è molto difficile
separare le responsabilità del capo della polizia da quelle del
ministro degli Interni, comunque si chiamino e di qualunque colore siano.
Nella discussione sulla mozione di sfiducia al senato, s'è capito
quale "verità" il governo sta cercando di costruire:
ci sono stati gli aggressori - il movimento - e gli aggrediti - le forze
dell'ordine - , dunque questi ultimi hanno comunque le attenuanti della
legittima difesa. Un teorema semplice...
Ma le cose non sono così semplici. Se un automobilista passa col
rosso, un vigile urbano non può sparagli. D'altra parte se un manifestante
spara, un poliziotto fa bene a difendersi. Fra questi due estremi, c'è
una casistica immensa di effrazioni della legalità e di modi per
contrastarla. A Genova ci sono stati certo dei comportamenti illegali
fra i manifestanti, ma come sono stati contrastati, e sulla base di quali
ordini?
Prima dicevi del comportamento parlamentare poco lineare dell'opposizione.
Dove avete sbagliato secondo te?
Era evidente che presentare subito la mozione di sfiducia avrebbe consentito
alla maggioranza di bocciarla e di mettere così la sordina alla
questione delle responsabilità politiche di Scajola e del governo.
Le procedure parlamentari sono delicate: bisognava premere prima sull'inchiesta
e accertare le responsabilità, poi porre la questione delle dimissioni.
Certo, la mozione di sfiducia pareva più forte, ma una maggiore
lucidità sarebbe stata più efficace.
Genova è stata un rivelatore sorprendente di processi sotterranei,
un evento grande che ha spiazzato tutti. Lasciamo perdere il discorso
sulle responsabilità del centrosinistra nella preparazione del
vertice: ce ne sono altre, politiche e culturali, da mettere a fuoco?
Sì, due. La prima: sul governo della globalizzazione abbiamo segnato
dei punti positivi - penso ad esempio al G8 sul lavoro che organizzammo
a Torino. Ma non abbiamo colto un punto di fondo, quello della legittimazione
democratica di questi vertici. Che impone di agire sulla loro agenda,
mettendo all'ordine del giorno i grandi problemi del pianeta e non solo
le relazioni fra i grandi della terra: solo così, sulla base di
una concretezza tematica, si può conquistare un rapporto con il
movimento di contestazione della globalizzazione. La seconda responsabilità
riguarda il nostro rapporto con le forze dell'ordine, che deve essere
improntato non a logiche di potere e di nomina, ma ai principi dello stato
di diritto. I quali sono invalicabili: non c'è circostanza d'eccezione
che giustifichi un pestaggio. Siamo stati al governo per cinque anni,
com'è possibile che all'indomani della nostra sconfitta accadano
questi fatti? Evidentemente non siamo riusciti a radicare un senso comune
dello stato di diritto, fra le forze dell'ordine e non solo.
Ieri il "correntone" di centro-sinistra dei Ds ha presentato
il suo documento congressuale. Come ha agito Genova sul corpo diessino?
Nel partito è scattata una grande reattività. E la percezione
che molte domande del movimento sono le domande della sinistra. Il punto
non era andare o non andare, come Ds, a Genova. Il punto è capire
che se a Genova c'erano 300.000 persone che ponevano una questione di
giustizia sociale, è ora che il principale partito della sinistra
torni a porla, e a porsela, a sua volta
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