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il manifesto
- 21 settembre 2001
Genova,
l'altra verità dell'Ulivo
IDA DOMINIJANNI
Genova, 20
luglio 2001, ore 11.30 o poco più. Un corteo di black blocker si
dirige da via Rimassa e corso Torino a piazza Da Novi, dov'è in
corso il presidio dei Cobas. I black incendiano cassonetti, erigono barricate,
attaccano i carabinieri; per non restare coinvolti i cobas si ritirano
a piazzale Kennedy. I carabinieri si fermano, i black devastano l'area
Bank, danneggiano un distributore, fuggono verso via Nizza passando davanti
alla guardia di finanza che non interviene. Non interviene neanche il
battaglione speciale Tuscania, che, com'è stato detto in una delle
audizioni eccellenti del comitato parlamentare d'indagine, "sbagliò
strada" in un punto in cui, direbbe Lucio Dalla, non si perde neanche
un bambino. In compenso i carabinieri circondano i cobas. I black intanto
si dirigono a via Palermo, sempre bruciando auto e cassonetti qua e là,
e poi a via Tolemaide, dove danno il meglio di sé: parata con bandiere
nere e tamburi a uso di tutte le tv, con i carabinieri nella parte degli
spettatori. Poi se ne vanno in corso Sardegna, attaccano con agio un ufficio
postale e un supermercato. In via Canevari assaltano un altro distributore
sotto un orologio che segna le 14.20: scorrazzano da quasi due ore e nessuno
è intervenuto. Si dividono in due, un gruppo va all'assalto del
carcere di Marassi davanti ai carabinieri che arretrano, il secondo va
a scatenare il caos nella piazza tematica di piazzale Manin, dove i carabinieri
invece dei black caricheranno le femministe e i pacifisti. Nel frattempo,
in via Tolemaide i nostri hanno fatto il loro capolavoro. Sta arrivando
- atteso - il corteo delle Tute bianche, preceduto dal gruppo di contatto.
E' disarmato, neanche una mazza. Un gruppo di black si attarda in via
Torino, passa attraverso il gruppo di contatto e imbocca il tunnel sotto
la ferrovia. Ma i carabinieri non lo inseguono: caricano invece il corteo
delle tute bianche. Che è immobile: non un sasso né una
bottiglia né una molotov contro le forze dell'ordine. Piovono lacrimogeni,
aumentano le cariche, sono arrivati i blindati. E' l'inizio del caos che
in breve, con l'assassinio di Carlo Giuliani, volgerà in tragedia.
Tutto questo è stato proiettato ieri mattina nella sala stampa
del senato, a corredo della presentazione del contro-documento con cui
il centrosinistra si contrappone, per una volta decisamente, alla "irricevibile"
relazione conclusiva stilata dal presidente forzista del comitato d'indagine
Donato Bruno (e - ieri stesso - approvata a maggioranza nelle commissioni
affari costituzionali della camera e del senato). E la proiezione del
filmato di Davide Ferrario - il regista di Tutti giù per terra
e Guardami - , con tutte le cartine, gli orari e le freccette bene in
ordine, non solo è un atto d'accusa implacabile, ma è la
seconda irruzione - dopo quella dell'audizione di Agnoletto e Casarini
- di un linguaggio "altro" nel linguaggio paludato e rarefatto
delle istituzioni. E, per la seconda volta, l'irruzione colpisce nel segno.
Prima, avevano colpito le parole dei senatori dell'Ulivo, Bassanini e
Jovene per i Ds, Turroni per i Verdi, Petrini per la Margherita. Non c'erano
a Genova, loro, non avevano tesi preconcette quando il comitato ha cominciato
a lavorare. Sono i fatti, le audizioni e le omissioni e le contraddizioni,
i filmati e i documenti, i rapporti di polizia che li hanno convinti,
via via, di come sono andate le cose. Hanno lavorato collegialmente sulle
fonti, qualcuno - Turroni - visionando i filmati (di Ferrario, di Mediaset,
di Indymedia...) giorno e notte per ricostruire i fatti. E l'interpretazione
è chiara. Per due giorni i black agirono indisturbati (e sì
che Sisde e questura sapevano in anticipo come si sarebbero mossi), mentre
venivano caricati cortei autorizzati e pacifici, i quali a loro volta
tentarono di difendersi da soli dai black. Fine del teorema della violenza
e della connivenza del movimento coi violenti.
E non fu solo inettitudine o inefficienza delle forze dell'ordine: Bassanini
elenca responsabilità politiche pesantissime. "L'intollerabile
tentativo" del centrodestra di criminalizzare il movimento. L'altrettanto
intollerabile tentativo - segnatamente di An - di stabilire un rapporto
di "patronage" con le forze dell'ordine rompendone la relazione
di fiducia con la società. La volontà di An di precostituire
una situazione in cui "il disordine diventava necessario" (così
recita il documento) per legittimarsi come tutrice dell'ordine, superando
largamente in zelo l'impostazione di Scajola e Ruggiero (ma su questo
punto resta, nel documento, una sottovalutazione della compattezza complessiva
della maggioranza nella gestione e nella ricostruzione dei fatti). Le
violazioni di diritti costituzionali fondamentali, in piazza, alla Diaz
e a Bolzaneto.
La concordia su questa linea interpretativa non ha risparmiato tuttavia
ai membri di centrosinistra del comitato un corpo a corpo durato undici
ore, dalle 17 di mercoledì alle 4 del mattino, sulla "limatura"
del testo. Due i punti di maggior contenzioso: il giudizio sulle forze
dell'ordine e quello sul Gsf. L'inattaccabilità del capo della
polizia De Gennaro, decisa da sempre da Luciano Violante, fa sparire dal
testo ogni riferimento alla sua audizione (e alle sue omissioni, compresa
quella sulla autorizzazione del corteo delle tute bianche), e parecchi
riferimenti a episodi specifici di violenza delle forze dell'ordine. Ma
il giudizio più controverso resta quello sulla pratica della disobbedienza
civile e sull'audizione di Casarini. Passa alla fine, e non senza tormento
(ne riferiamo qui in basso) un'analisi di un Gsf diviso fra "buoni"
(Agnoletto) e cattivi (Casarini) che fa protestare i parlamentari verdi
presenti a Genova (Zanella, Cento, De Petris, Martone) contro il "teorema
Violante". Non è l'unica ribellione in atto. A Bassanini non
è andato giù il tentativo, operato fino all'ultimo nella
commissione affari costituzionali della camera, di arrivare a un preambolo
comune con la maggioranza, "del tutto impraticabile con gente che
fa paragoni fra il movimento no-global e bin Laden". E non è
tutto: i senatori dell'Ulivo non demordono dal continuare a lottare per
ottenere, visto l'esito del comitato, quella commissione d'inchiesta con
poteri giudiziari che i deputati considerano ormai inutile.
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