il manifesto
- 28 luglio 2001
Parola
di Berlusconi
Il
cavaliere giura al senato: "non copriremo la verità". Poi recita la giaculatoria
dei risultati del G8. L'opposizione la smonta: un flop che allontana l'Italia
dall'Europa. Il governo cede sull'indagine parlamentare?
IDA DOMINIJANNI -
ROMA
Il
governo non coprirà la verità sui fatti di Genova, assicura solennemente
Silvio Berlusconi davanti all'aula del senato. Gli si può credere, da
come la verità comincia, già che c'è, a suggerirla: "Se verranno individuati
abusi, violenze ed eccessi, non vi sarà copertura per chi ha violato la
legge. Ma siamo tutti convinti che non si deve confondere chi ha aggredito
e chi è stato aggredito, chi ha difeso la legge e ha cercato di tutelare
l'ordine e chi, invece, contro quest'ordine si è scagliato". A voi indovinare
chi ha aggredito e chi è stato aggredito, aiutati dai filmati televisivi
che il presidente del consiglio cita come prove inoppugnabili.
Dopo l'eversivo blitz di Massimo D'Alema, che giovedì pomeriggio alla
camera si era permesso di violare l'ordine della scaletta del ministro
Ruggiero per ricordare l'innominato contorno del summit e definirlo una
rappresaglia cilena, giovedì sera il senato si era premunito da altre
eventuali smagliature del galateo: un gentlemen agreement fra i
capigruppo aveva deciso che ieri dell'imbarazzante contorno non si sarebbe
parlato, lasciandolo alla seduta del 3 agosto. Ma è lo stesso Berlusconi
a violare l'intesa con le sue polizze sulla verità dei fatti (e con non
più di un inciso sulla morte di Giuliani: "non si poteva prevedere che
vi fosse addirittura un tragico evento luttuoso"). Sì che altre piccole
violazioni seguiranno: Malabarba, Prc, proporrà redarguito da Pera un
minuto di silenzio per commemorare Giuliani; Crema, Sdi, parlerà di "volontà
repressiva indiscriminata"; Boco, Verdi, ricorderà "il rosso della zona
rossa e il rosso delle pareti della scuola Diaz"; e Angius, Ds, farà presente
che "i gravi problemi di ordine pubblico e la morte del giovane Giuliani
hanno sostanzialmente eclissato il Vertice", e troverà il modo di evocare
anche lui il Cile citando un verso di Neruda.
Il gentlemen agreement riuscirebbe comunque a mettere la sordina sulla
seduta, non fosse per la solita scintillante recita del presidente del
consiglio, come sempre sul filo fra il disperante e il grottesco. Tono
battente da marcetta trionfale, Fini al fianco come una colonna portante,
il premier ripresenta al senato la sua scaletta già sperimentata in conclusione
del vertice a Genova. "Siamo saliti su un treno in corsa", esordisce,
era già tutto deciso e predisposto dai governi dell'Ulivo, "non abbiamo
cambiato un solo funzionario delle forze di polizia", ai vertici delle
forze armate e dei servizi sono rimasti "quelli che avete messo voi".
Dunque, "non credo che convenga alla sinistra ritornare su questi argomenti".
Come dire che è l'opposizione che deve intonare il mea culpa, e tapparsi
la bocca. Contraddittoriamente - come Angius gli farà notare - Berlusconi
sottolinea subito dopo di aver comunque emesso numero 106 "indicazioni
di intervento", sulla logistica, l'accoglienza, gli edifici da abbattere
per ripulire "una città che pareva situata a un parallelo di 2000 chilometri
più basso". Segue la già sentita sfilza delle rivendicazioni: il G8 aperto
alla società e ai paesi poveri; le decisioni sul debito, l'Aids, il plan
of action per l'informatizzazione del pianeta; le solite menzogne
su Kyoto; la genuflessione a Bush ("avete potuto osservare la relazione
che abbiamo stretto con il presidente americano"). Tutti, da Bush a Chirac
a Schroeder, gli fanno i complimenti per la gestione del vertice. Tutti
hanno dialogato in una "atmosfera" di amicizia illuminata dalla comune
fede nel libero mercato ("l'atmosfera alla scuola Diaz era diversa", tuonerà
Boco). Tutti gli giurano che "sono stati due giorni e mezzo di lavoro
intensissimo come mai era accaduto". Infine, anche nell'aula del senato
il cavaliere esterna la sua personale soddisfazione per aver visto dialogare
"60 anni dopo Pearl Harbour" capi di stato che in realtà dialogano, come
gli fa notare Passigli, dai tempi della guerra di Corea.
Su cotanta base il premier incassa i complimenti dei suoi, più quelli
del senatore a vita Andreotti. L'opposizione invece gli smonta i "risultati"
uno per uno. Marini, Pdci: "quattro soldi, quattro centesimi di carità,
un fallimento". Crema: "un grande flop da archiviare". Bordon, Margherita:
"Non credo proprio che lei passerà alla storia per questi risultati".
Il tasto più dolente e più battuto è quello della subalternità a Bush
e dello scudo stellare. Angius rimprovera infine al premier di avere eliminato
la zona gialla, di essersi preoccupato solo delle fioriere e dell'effetto
mediatico, di avere stravolto gli indirizzi di politica estera dell'Italia
isolandola dall'Europa, e gli agita il fantasma di "un movimento importante,
che segnerà a lungo la nostra vita".
Il sipario parlamentare su Genova si riapre il 3. Ma il rischio, come
lo stesso Angius teme, è che tutto finisca a tarallucci e vino. Pare che
adesso il governo sarebbe disposto a ripensarci sull'indagine parlamentare
- in cambio del ritiro della mozione di sfiducia a Scajola dell'opposizione
-, ma con agosto di mezzo l'indagine avrebbe un destino prevedibile. Il
Prc, intanto, lancia un'interrogazione sui dispersi.
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