Libreria delle donne di Milano

il manifesto - 28 agosto 2001

Tre parole fuor di logo
IDA DOMINIJANNI

In attesa del ritorno in Italia (domenica prossima alla festa nazionale dell'Unità) di Naomi Klein, la giovane autrice di NoLogo diventata a sua volta un popolare logo del movimento no-global, sono andata a curiosare nel suo sito (www.nologo.org) a caccia di commenti suoi e altrui su Genova e sul dopo-Genova. Nessun commento di Naomi, se non la sua richiesta delle testimonianze sui maltrattamenti di cui pochi giorni fa ha dato pubblica lettura alla fiera del libro di Edimburgo. In compenso ho trovato, fra gli altri, un testo di Andrew Starhawk, collaboratore di Naomi e gestore del sito, che vi riassumo perché mi pare uno dei più lucidi, nonché più sinceri e spassionati, usciti in queste settimane.
Starhawk comincia da un giudizio senza infingimenti della situazione. Genova, scrive, è stato una doccia gelata per il movimento, che può uscirne distrutto o rafforzato, purché metta a fuoco che cosa è accaduto esattamente. La favola che va per la maggiore nei media la conosciamo: la colpa di tutto è dei Black Bloc, che hanno scatenato una reazione sopra le righe delle forze dell'ordine. Variante interna al movimento della stessa favola: i Black sono stati lasciati agire indisturbati dalla polizia, per giustificarne la reazione. Ma, osserva Starwak, non è questo il punto, se vogliamo mettere i problemi nell'ordine giusto. Il punto è che a Genova è stata messa in scena una "campagna politica di terrorismo di stato accuratamente preparata", fatta di disinformazione, uso di infiltrati e provocatori, collusione con gruppi fascisti ("e non uso il termine fascista in senso lato, bensì riferendomi agli eredi diretti delle tradizioni di Mussolini e Hitler"), uso deliberato di lacrimogeni e botte contro i manifestanti pacifici, brutalità della polizia, torture sui fermati, persecuzione politica degli organizzatori, raid notturno di reparti speciali sulla Diaz: il tutto senza tema di ripercussioni e dunque, evidentemente, con adeguate coperture delle alte sfere politiche, nazionali e internazionali, in primis americane.
Starwak fa presenti alcuni poco rassicuranti precedenti italiani, dalla strategia della tensione degli anni Settanta alla repressione politica degli anni Venti e Trenta: la nostra fama democratica non è dele migliori. Ma per il futuro, il problema è come evitare e contrastare un bis repressivo di tal fatta. "Non c'è una risposta facile", ammette Starwak. La più ovvia sarebbe quella di appellarsi a una forma di lotta rigorosamente non violenta: ma qualcosa farà resistenza a questo appello, finché non si sarà trovato il termine giusto ("mille volte più forte") per distinguere la "violenza" delle forze dell'ordine dalla "violenza" dei Black Bloc. Sui quali Starwak usa parole contestabili, ma almeno non reticenti: non vanno criminalizzati, sostiene pur attaccandone le pratiche luddiste, devastatorie e controproducenti, perché nel "movimento dei movimenti" c'è bisogno di uno spazio "per la rabbia, l'impazienza, il fervore antisistema" come c'è bisogno di uno spazio per le pratiche di non violenza gandhiane (che peraltro non eludono il confronto con l'avversario e anzi sono spesso ben più rischiose che spaccare una vetrina). Uno spettro ampio di pratiche, che necessariamente produce uno spettro ampio di contraddizioni. Come creare uno spazio politico capace di tenerle e contenerle, è il problema.
Grande è la tentazione, dopo Genova, di fissare regole e paletti: ma, continua Starwak, sarebbe un errore. Ci sono invece tre parole su cui fare leva: comunicazione, solidarietà, creatività. Per far crescere la partecipazione, per coinvolgere l'opinione pubblica, per spiazzare le tecniche repressive. "Dobbiamo fare quello che non prevedono, cambiare abiti, cambiare tattiche, essere dove non si aspettano che siamo: se si aspettano che distruggiamo un McDonalds, noi distribuiremo cibo gratis ai lavoratori; se si aspettano un gruppo di Black Bloc, avranno un gruppo di pacifisti che faranno la rappresentazione di un funerale della democrazia; se si chiudono dietro un muro, noi andremo dappertutto in città".
Durante il tour italiano di presentazione del suo libro nello scorso giugno, Naomi Klein aveva già detto che quello di Genova avrebbe dovuto essere, a suo giudizio, l'ultimo grande controvertice, poi bisognava inventare nuove pratiche di spiazzamento del potere globale. "Sono cambiamenti difficili, ma questi sono tempi difficili", scrive ora Starwak: il "movimento dei movimenti" ha davvero bisogno di molta creatività, per non farsi preda dell'attrazione fatale della repressione.