il manifesto
- 30 agosto 2001
Nel centro
del mirino
"Dopo
Genova, il movimento deve creativamente inventare nuove forme di lotta".
Parla Naomi Klein, autrice di "NoLogo"
BENEDETTO VECCHI
E' tornata
in Italia per partecipare a un incontro della festa nazionale dell'Unità
a Reggio Emilia. Mancava da pochi mesi, da quando cioè era arrivata
nel nostro paese per lanciare il suo libro - NoLogo, Baldini&Castoldi
-, uno dei testi migliori finora pubblicati sul "movimento dei movimenti",
cioè quell'arcipelago di associazioni ambientaliste e non, gruppi
e sindacati di base che si oppongono alla "globalizzazione economica".
Poi è rimasta qui, non fisicamente come tiene a precisare, ma con
il cuore e la testa a Genova. Naomi Klein è ingiustamente considerata
una leader di questo "movimento dei movimenti". Ingiustamente
perché, come sostiene con convinzione, questo arcipelago non ha
leader. Incontrarla è stato come riprendere le fila di un discorso
iniziato appunto mesi fa sulle pagine di questo giornale. Ascolta con
attenzione le domande e risponde come se rispondesse a chi sta dalla stessa
parte. Ride e il suo sì è divertito quando le chiedo se
la "tendenza macho" all'interno del "movimento dei movimenti"
sia una caratteristica specificamente italiana. Ma il punto di partenza
è Genova.
Ti aspettavi
che a Genova andasse come è andata, con un morto, con i pestaggi
e le sevizie della polizia, gli scontri?
Sono andata
in giro per un anno e ogni volta che ho partecipato a una discussione
pubblica sul movimento contro la globalizzazione economica c'era qualche
giornalista che mi chiedeva cosa pensassi dell'uso della violenza da parte
degli attivisti di quel movimento. Anche quando sono venuta in Italia
per la prima volta, un mese prima della mobilitazione di Genova contro
la riunione del G8, mi sono sentita fare la stessa domanda. Nei mass-media
- manifesto escluso - l'unico argomento affrontato era la possibilità
o meno di incidenti. Anche il governo di Berlusconi ha soffiato sul fuoco,
contribuendo così a creare un clima nel quale tutte le forze di
polizia si sono sentite legittimate a rompere la testa dei manifestanti
e a sparare. Cose che sono poi puntalmente accadute.
La tragedia che si è consumata a Genova deve diventare però
una grande opportunità per discutere non solo delle violenze della
polizia, ma anche delle responsabilità del mondo culturale che
ha consentito che Carlo Giuliani fosse ucciso: o perché è
stato zitto o perché ha attivamente partecipato alla determinazione
del clima di cui parlavo prima.
Durante
le giornate di Genova c'è stato però un cambiamento nei
comportamenti dei media. Spesso hanno denunciato le violenze della polizia...
E' vero,
c'è stato un cambiamento nell'opinione pubblica. Due anni fa a
Seattle la polizia ha represso con forza le manifestazioni contro il Wto,
ma i media hanno quasi del tutto ignorato le denunce contro la brutalità
poliziesca. Ora, finalmente, anche giornali come il Wall Steeet Journal
o il New York Times hanno criticato l'operato della polizia a Genova.
La repressione
così violenta come l'abbiamo vista a Genova è una caratteristica
solo della polizia italiana o riguarda anche gli altri paesi?
Quello che
abbiamo visto a Genova è la forma estrema di un fenomeno che riguarda
tutte le polizie del mondo. Ad esempio, ci sono stati poliziotti di Los
Angeles che hanno addestrato poliziotti italiani su come reprimenre una
rivolta. C'è la proposta di creare una forza di polizia europea
specializzata nella gestione dell'ordine pubblico in occassione di summit
internazionali. A ottobre ci sarà un meeting mondiale all'Aja per
parlare di come gestire l'ordine pubblico nelle prossime mobilitazione
del movimento contro la globalizzazione economica. Già adesso c'è
un fitto scambio di informazioni. E' quindi un grosso errore pensare che
ci sia una peculiarità della polizia italiana nell'uso di comportamenti
violenti. Siamo di fronte a un fenomeno globale.
I fatti
di Genova hanno rappresentato la drammatica perdita dell'innocenza di
questo movimento. Ora, mi sembra che prevalga uno stato di smarrimento
e tutti si interrogano su cosa e come fare....
Questo è
una fase molta delicata per il movimento dei movimenti. Ci sono i "moderati"
che sono spaventati da quello che è accaduto. Ma ci sono anche
alcune componenti "radicali" che preferirebbero creare un movimento
di sole avanguardie. In ogni caso, sia che i "moderati" si ritirino,
sia che i "radicali" abbiano il sopravvento, il risultato sarebbe
una riduzione della diversità di posizioni e di sensibilità
politiche, cioè la vera ricchezza di questo movimento. Questo è
lo scenario più pericoloso. Anche perché rafforzerebbe una
tendenza macho presente nel movimento che riduce tutto a un wargame. E'
quindi fondamentale che nel movimento sia possibile protestare in tanti
modi diversi. E questo è importante anche in vista degli appuntamenti
di Napoli e di Roma. Mi sembra, infatti, che il governo italiano punti
nuovamente all'escalation come ha fatto a Genova. Sono però convinta
che ci sono tantissime donne e uomini che non vogliono che sia Berlusconi
a scrivere la sceneggiatura delle giornate di Napoli e di Roma. Anche
perché non c'è nessuno all'interno del movimento che sta
pianificando un'altra Genova. Nessuno lo vuole. La Fao non è il
G8.
Ma la
Nato è a sua volta diversa dalla Fao. Non credi?
E' essenziale
trovare una forma di protesta che denunci chiaramente dove è la
violenza. C'è una lunga storia dentro il movimento che ha visto
la sperimentazione di forme creative di azione diretta contro la macchina
da guerra rappresentata dalla Nato. Penso alla presenza delle donne nel
movimento pacifista o in quello antinucleare, ovviamente, che hanno sempre
rifiutato di mostrare i muscoli.
Tu pensi
che questa tendenza machista all'interno del movimento sia un fenomeno
solamente italiano, o coinvolga anche altri paesi?
Sì,
è un fenomeno tipicamente italiano. E' anche questo un nodo che
va sciolto e che coinvolge anche il modo di parlare e di esporre le proprie
posizioni sia all'interno che all'esterno del movimento. Se prevale la
logica che ha ragione chi urla più forte o chi batte il pugno sul
tavolo sarà difficile che persone non abituate a questo modo macho
di esporre le proprie idee prendano la parola.
Cosa pensi
di alcune dichiarazioni roboanti di alcuni portavoce prima e dopo Genova?
D'accordo sul fatto che erano provocazioni, ma l'attenzione va posta anche
sulla recezione che hanno alcune dichiarazioni. Non credi?
Che questo
movimento debba ricercare e trovare un nuovo stile nel rapporto con i
media è indubbio.
Dopo Genova
è emersa la parola d'ordine di costituire social forum ovunque.
E così è stato. E' una proposta che nasce dalla convinzione
che i social forum servano a "non perdere pezzi della rete".
Come giudichi questa proposta?
La trovo
buona perché cerca di dare una risposta a una questione che a me
appare dirimente. Mi riferisco al fatto che quando inizi una trattativa,
un negoziato con una istituzione si pone il problema della rappresentanza.
Gran parte delle istituzioni o amministrazioni sono abituate a funzionare
così e a parlare con persone che rappresentano qualcosa o qualcuno.
Ad esempio, sono state invitata come rappresentante del movimento al meeting
della polizia di cui parlavo prima. Oppure, prima delle mobilitazioni
di Quebec City sono stata contattata dal governo canadese per mediare
con il movimento. Ciò è assurdo, perché questo è
un movimento che non ha dei capi e dei seguaci. Ma le istituzioni funzionano
così: pensano che il mondo sia a loro immagine e somiglianza, cioè
lo immaginano organizzato come una piramide dove c'è un capo e
dei seguaci. I social forum possono invece costituire un tentativo di
costituire una rete ampia che non ha bisogno di figure istituzionali che
la rappresentino.
La zona
rossa è una metafora della sospensione dello stato di diritto.
Ma fa emergere la crisi della democrazia reale. Come può, secondo
te, il movimento affrontare questa crisi?
Lo sta già
facendo. Sperimenta forme di democrazia diretta, costituendo media indipendenti,
favorendo la partecipazione, sviluppando forme collettive di accesso all'informazione.
C'è stato l'appuntantamento di Porto Alegre che ha iniziato a porre
le basi di un modello partecipativo nel governo metropolitano.
C'è tuttavia un pericolo che il movimento corre: quello di impegnare
tutte le sue energie nelle grandi mobilitazioni e poi nel gestire il fall
out, le ricadute di quelle stesse mobilitazioni. Pensa a Genova e ai processi
che ci saranno. Le mobilitazioni di massa servono, ma è meglio
dedicare maggior tempo e passione in iniziative a livello locale per elaborare
e sperimentare alternative alla globalizzazione economica.
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