...ancora
con Chuan
Chuan
Zhang (25/07/66 - 02/08/01)
Chuan
Zhang è nata il 25 Luglio 1966, in un villaggio della contea cinese dello
Zhe Jiang. E' morta in modo tragico il 2 Agosto 2001 nella città di Wen
Zhou, dove si trovava in visita al figlio. Migrata clandestina, ha pertecipato
alla "lotta degli immigrati bresciani" per il permesso di soggiorno in
Italia. A Brescia, conosciuta e stimata, operaia tessile, ha trascorso
gli ultimi anni della sua breve vita.
Chuan ha
costruito e animato nel periodo della sua permanenza a Brescia un mondo
di rapporti: politici, amicali, di vicinanza e semplice conoscenza. Noi
che siamo parte di questo mondo, senza pretesa di esaurirlo, desideriamo
commemorarla in un incontro pubblico.Raccogliere immagini e racconti che
la riguardano. Ricordarla ed illuminare momenti della sua vita passata
e condivisa in questa città. Dire il dolore, lo stupore per la sua morte.
Lei giovane donna, immigrata clandestinamente. Le lotte che ha combattuto.
L'amore per suo figlio. Chi era per noi. Cosa abbiamo imparato. Di cosa
parla la sua vicenda umana e politica.
Domenica
30 settembre 2001 ore 10:00
sala Piamarta in Via S.Faustino (vicino alla chiesa)
Brescia
differenza femminile nell'immigrazione
LUANA ZANELLA, parlamentare
seguono interventi e testimonianze
Nell'ambito
dell'iniziativa sarà aviata una raccolta libera di fondi da devolvere
ai genitori di Chuan. Ed anche pensieri, parole, fotografie per costruire
una memoria.
La partenza di Chuan
Oriella Savoldi
Agosto 2001
Chuan è stata uccisa dal marito giovedì 2 Agosto 2001, appena dopo la
mezzanotte di mercoledì. Ricostruire i suoi ultimi giorni in Cina, così
pochi, neanche tre giorni, è un'impresa ardua. Le difficoltà sono la distanza,
la lingua. Il sistema di scrittura. Dal racconto della sorella, contattata
al telefono dalla Sig.ra Wang Shengping, mediatrice culturale dell'ufficio
stranieri del Comune di Brescia, ci arrivano notizie che placano in parte
il bisogno di sapere. Non c'è rimedio a quanto accaduto, ma conoscere
gli eventi è un modo per fare i conti con il dolore pur nella consapevolezza
che l'assenza, resterà incolmabile. Chuan non c'è più. La sua giovane
vita è stata spezzata con ferocia. Chuan, così dolce.
E' arrivata dal suo bambino nel primo pomeriggio di mercoledì - si coglie
dal racconto della sorella - lo ha abbracciato, ha incontrato la suocera
a cui l'aveva affidato. Ha visto il marito con cui pensava di discutere
una possibile ricongiunzione familiare a Brescia. Ha preparato la cena
e ha dato da mangiare a suo figlio. Sono venuti i vicini a salutarla,
a festeggiare il suo ritorno. Poi la sera tardi, poco prima mezzanotte,
il bambino si è ritirato a dormire con la nonna e i vicini sono tornati
alle loro case. Chuan ed il marito sono rimasti soli. Pare pochi minuti,
un tempo troppo breve per parlare, per discutere, per qualsiasi cosa,
tranne che per la morte. I vicini hanno sentito chiedere aiuto. Sono corsi.
La porta era chiusa dall'interno. L'hanno forzata ed alla fine ha ceduto.
Hanno chiamato l'ambulanza. Null'altro. Chuan, pare fosse già morta. Certo
il marito l'avrà osservata quell'unico pomeriggio. La ricordo la sera
prima che partisse. Mi aveva invitato a cena con altri due suoi amici
connazionali. Un modo il suo per salutare, per ringraziare. Per festeggiare.
Era felice Chuan. Raggiante. Finalmente le sue vicende avevano preso un
verso giusto. Aveva ottenuto il permesso di soggiorno. Lottando e senza
pagare nessuno. Era questo che raccontava spesso e che era motivo di soddisfazione
per lei. Aveva un lavoro. Molti rapporti a cui teneva. Persone che le
volevano bene. Compagne di lavoro, compagni e compagne con cui aveva condiviso
una battaglia politica, amici, amiche. Conoscenti. E adesso aveva un mese
intero, tutto a posto, per tornare in Cina. Per suo figlio. Per sua madre.
"Quando io sono sola, io sempre pensare. Tanto, eh! Mia mama, mio papa,
mio bambino. Io sempre preoccupata." In Cina avrebbe voluto andare già
da tempo, ma mancava sempre qualcosa. Prima il permesso di soggiorno.
Ottenuto il permesso avrebbe voluto partire, ma era subentrato subito
un lavoro regolare: assunzione a tempo indeterminato in una industria
di confezione. Conosceva bene la saltuarietà del lavoro. Unica condizione
a cui puoi accedere da clandestina. Magari a cucire i pantaloni delle
divise dei carabinieri, come a lei era capitato! "Lavoro nero" lo chiamano.
Lavoro che c'è ma non c'è. E se non ti pagano non puoi rivalerti in alcun
modo. In fondo che pretendi, è già tanto se ti fanno lavorare. Non ti
stanno forse aiutando? Così è la convinzione diffusa. Lei l'aveva imparato
ed ora, no, non poteva permettersi di perdere quel lavoro che le veniva
proposto. Aveva accettato consapevole che questo avrebbe rimandato ancora
la sua partenza. Non avrebbe potuto assentarsi subito. Avrebbe dovuto
aspettare le ferie: in agosto, le avevano detto. Era poi stata tentata
di andare nel periodo pasquale quando l'azienda aveva annunciato una breve
chiusura. Dodici giorni a disposizione, troppo pochi anche per via del
costo del biglietto aereo da ammortizzare, ma forse sarebbe stato possibile.
Partire e ritardare un po' il rientro. Un'idea che si era affacciata nella
sua mente. Qualche pretesto l'avrebbe trovato per giustificare il ritardo.
E se non avesse funzionato? Non poteva certo permettersi di perdere il
lavoro. Condizione necessaria per ottenere il rinnovo del suo permesso
di soggiorno che dopo qualche mese sarebbe scaduto. A ottobre, per la
precisione. E lei in Italia voleva restare. No, anche questa volta doveva
rimandare. Pensieri, difficoltà, un continuo patire, che la costringevano,
di volta in volta, a mettere a tacere il desiderio. A spiegare a chi in
Cina era rimasto. Spiegazioni probabilmente incomprensibili per chi non
ha dimensione di una realtà lontana, del suo modo di funzionare. Forse
anche all'ascolto di quel marito con cui discuteva al telefono e dalle
cui botte - si saprà poi - era fuggita, per venire clandestinamente in
Italia. Lei, sola, aggregata ad un "viaggio organizzato", a piedi - attraverso
le montagne, il freddo, quella che chiamano la via cinese - indebitandosi
per una cifra più grande di lei. Ventiquattro milioni le era costato.
"Finito di pagare, io, a dicembre 2000, pagato tutto" diceva. E poi finalmente
le ferie erano arrivate. Ed era partita. Aveva un mese di tempo. Non era
tanto, ma forse sarebbe bastato per viversi gli affetti e trovare una
qualche soluzione che le facilitasse il contatto con il figlio. Era arrivata
con l'aereo, in tasca aveva il biglietto di ritorno e un po' di soldi.
Qualche milione. Tutto quello che era riuscita a risparmiare. Guadagnato
con il suo lavoro e vivendo con molto poco. Ma ce l'aveva fatta. Tutto
questo avrà trasmesso il suo volto, il suo sorriso, il tono della sua
voce. Lei che attraverso le labbra faceva parlare il cuore. Era questa
la sua forza. Paradossalmente una trasparenza che la lasciava indifesa.
Non potevi non volerle bene. E' così che la immagino. Felice e soddisfatta
vicino a suo figlio. A chi la stava festeggiando. Sotto lo sguardo di
quel marito dal cui dominio si era affrancata con la sua venuta in Italia.
Lui avrà visto. Chuan ce l'aveva fatta. Ce l'aveva fatta senza di lui.
Quella donna, solo una donna, che lui nel passato, sposandola, aveva strappato
da una situazione di povertà in cui viveva con la sua famiglia. Da quel
villaggio in montagna. L'aveva portata in città. Le aveva offerto una
condizione più agiata economicamente. E chissà quali immagini di bella
vita saranno passate nella sua mente. Suoi connazionali emigrati in Italia,
da Brescia non avevano mancato di far arrivare nella contea commenti e
giudizi. Le chiacchiere, si sa, non conoscono frontiere. E nella distanza
sono buon nutrimento per un cuore sospettoso. O avvelenato da un desiderio
di dominio rimasto insoddisfatto. E poi lei, che affronto! Andare in Italia
quando non le mancava niente! E là, frequentare troppe persone. Italiani,
pachistani, senegalesi, marocchini. Era sempre in piazza durante tutta
quella lotta di immigrati. Per lo più di uomini. Nei presidi davanti alla
questura. E si sa, era stata messa in guardia. Le voci fra connazionali
giravano. Di lei parlavano male. Per via del suo modo di comportarsi,
ma lei, niente, si sentiva e si sapeva a posto. Non aveva nulla da rimproverarsi.
Io lo so. Nulla da nascondere. Che testarda! Eppure - mi raccontano, -
le era stato ricordato. In Cina non si fa così. Tutto è diverso. Non si
danno baci sulla guancia per salutare. Non si parla con tutti. Era una
donna sposata! Inaccettabile che lei non ascoltasse, non si confidasse.
Fra connazionali - si dice - ci si aiuta. Anche dei maltrattamenti che
il marito le infliggeva, mai ne aveva fatto parola. Voci che circolano
anche adesso, mentre del marito si dice poverino! Considerazione, quest'ultima
che dopo lo stupore per quanto accaduto muove l'indignazione. Basta! E'
una voce di donna che si libera e rompe un circolo vizioso. E mette allo
scoperto miserevoli chiacchere, insostenibili pregiudizi. Basta!
Chuan è morta. Devo continuare a ripetermelo. Ancora non riesco a credere.
Lei, sempre di corsa. Era arrivata lunedì sera a Shanghai, dalla sorella
dove aveva dormito. Era ripartita il giorno dopo per il suo villaggio
dove aveva incontrato la madre ed il padre. Era stato il padre a trattenerla
altrimenti sarebbe ripartita subito per Wen Zhou, dove viveva il figlio.
Pare che lei avesse raccontato delle discussioni telefoniche con il marito.
Del fatto che lui fosse arrabbiato. Ed il padre si era offerto di andare
con lei. L'idea era di prendere il bambino qualche giorno e portarlo lì,
dai nonni materni, che non l'avevano più visto dalla sua partenza. Ma
lei, no, non si era fatta accompagnare. Nessuno aveva insistito. Quanto
sarebbe successo non era certo immaginabile. Sola, era ripartita il giorno
dopo. Mercoledì 1° Agosto. Chissà quante volte aveva immaginato quel momento.
Il tempo in cui aveva scritto sul suo diario che credeva di morire per
via delle botte le sarà parso lontano. Avrà pensato che adesso era tutto
diverso. Aveva raggiunto una posizione dalla quale le sarebbe stato possibile
contrattare. Non dipendeva più economicamente. Avrebbe potuto chiedere
la ricongiunzione e portare il suo bambino in Italia. L'avrebbe chiesta
anche per il marito se lui avesse posto questa condizione. Oppure se tutto
questo fosse stato impossibile ci sarebbe pur stato un modo per mantenere
un rapporto con il figlio. Un bambino ancora così piccolo. Che aveva cominciato
ad andare a scuola. Era fiduciosa Chuan. Adesso le cose si sarebbero sistemate.
Quello che non aveva previsto - ed è storia di molte donne -é che lei,
tutta intera, in quel suo pensarsi libera, alla stessa altezza, per contrattare,
ascoltando l'amore per sé, l'amore per il proprio figlio, era la dimostrazione
concreta dell'irrealizzabilità di qualsiasi desiderio di dominio maschile.
Cosa c'è nella libertà femminile di così intollerabile per la mente maschile?
Che cosa rende così cieco un uomo, tanto da portarlo ad infierire su un
corpo femminile? Fino a procurarne la morte. Con ferocia. Quando mai ci
sarà un uomo che vorrà raccontarsi? Raccontare quello che accade nella
propria testa? No, Chuan non aveva previsto. Chuan che è morta, non senza
vedersi morire. Chuan che ha chiesto aiuto. Chuan così giovane con tutte
le sue fatiche, i suoi sogni infranti. "Zia, quando io sposata, bambino
piccolo, io lavorare, lavorare, lavorare per tutta la famiglia. Pulire
casa, fare da mangiare per tutti. Io, stupida, lavorare tanto. Io, più,
zia, più stupida. Adesso capito"
Avevi capito Chuan.
Cosa Chuan?
Non avevi ancora le parole per dirlo, troppo poche quelle disponibili
alla comprensione comune. E tu stessa eri stupita, disorientata, dalle
scoperte che di te andavi facendo. Di un mondo, qui, che non conoscevi.
Dai significati che intuivi. E' parlando con te che ho imparato la necessità
di stare all'essenziale nel comunicare. Per via di quelle poche parole,
ma anche per i diversi significati che possono assumere le stesse identiche
parole. Che non basta parlarsi per capirsi. Perché il senso che si vuole
comunicare passi è necessario riformulare in continuazione. E che la difficoltà
di comprensione non necessariamente è per via del fatto di essere fra
stranieri. Straniere. L'una all'altra. E che la fatica che questo comporta
ha a che fare con un desiderio autentico di relazione. Di lavorare alla
costruzione di rapporti. Quelli che animano la propria vita.
Prima lo
sapevo teoricamente, non per averlo sperimentato.
E' con te
che mi si è mostrato in tutta la sua evidenza e portata. Con te che non
hai fatto altro che costruire rapporti, sopportandone la fatica. Avendone
cura. Con stranieri, connazionali, stanziali. Di cui hai favorito l'incontro,
facendo da ponte. Come quando ci invitavi a cena, in ristoranti cinesi.
O portavi le tue amiche o amici al Magazzino 47, in CGIL.
Senza che
io ed altri, altre capissimo, - mai tu avessi fatto una parola, una critica
- quello che tu in pregiudizi e cattiverie stavi pagando.
Ciao Chuan,
ho scritto a tua madre ed è vero: la mia vita senza di te, adesso, è più
povera. Resta un vuoto incolmabile. Ciao Chuan.
Grazie Chuan.
|