TESTO
PER RAGIONARE INSIEME SULLA POSSIBILE DEPENALIZZAZIONE DELL'ABORTO
Documento femminista
del novembre 1989
"Fino
a quando la legge cercherà di controllare l'aborto in forme mai
applicate alle altre pratiche dì medicina chirurgica. ci sarà
pericolo. Il motivo per cui la parola 'rifiuto' compariva in tanti documenti
degli anni Sessanta e Settanta è semplice: lo scopo era estromettere
il governo dal processo decisionale sulla riproduzione respingendo ogni
legge sull'aborto o sulla contraccezione".
Sono parole
di Gloria Steinem, femminista americana In che cosa consiste il pericolo
di cui lei parla? In pericolo sono sia la libertà femminile sia
la riproduzione equilibrata. Fino a quando la legge cercherà di
sostituire la donna nella regolazione della sua fecondità, ci sarà
pericolo per la libertà di lei singola, come è evidente,
ma anche per la libertà delle donne ìn genere e per la loro
capacità di regolare il processo della riproduzione
In questi mesi
di discussione sull'aborto e, ultimamente, sulla pillola abortiva, la
cosa per noi più significativa è stata la posizione autocritica
di gran parte del movimento femminista nordamericano. (Dal 1973 - dice
Ann Sintow a Giovanna Pajetta su il Manifesto - anno in cui la Corte Suprema
sancì che abortire era un diritto, abbiamo passato il tempo a difendere
ciò che i giudici ci avevano dato.)
Come negli
USA, anche in Italia la legge che regola l'interruzione di gravidanza
è stata sottoposta a vari attacchi con lo scopo di tornare al vecchio
regime. E come negli USA, molte hanno difeso la legge in questione, forse
senza rendersi conto di difendere un potere esterno che pretende di regolamentare
il rapporto della donna con il suo corpo fecondo.
Certo, la legge 194 e il cosiddetto diritto di abortire vengono attaccati
per motivi che nulla hanno a che fare con gli interessi delle donne. Ma
questa non è una ragione sufficiente per difendere la 194 e, più
in generale, la necessità di legiferare in materia di fecondità
femminile.
Noi sosteniamo
anzi che l'esistenza di una legge dello Stato in questa materia - legge
più o meno repressiva, non è questo il punto - non sia compatibile
con la libertà femminile. E che, invece di difendere la legge o
cercare di migliorarla, sia meglio pensare alla cosa più giusta
e semplice in questa materia: depenalizzare l'aborto, cancellare dal codice
penale la parola 'aborto'.
Questo nostro
testo è stato scritto per aprire la discussione sulla possibile
depenalizzazione dell'aborto e sul farne una proposta politica del movimento
delle donne.
Siamo interessate al giudizio di quelle con cui siamo in rapporto, ma
anche di quelle che, a partire dalla loro competenza ed esperienza (medica,
giuridica, parlamentare), vorranno valutare con noi i pro e i contro della
nostra proposta.
Per cominciare
sottolineiamo due dati di fatto. Primo il fatto che anche con la legge
194 l'aborto resta un reato. E' un reato se non viene eseguito nelle strutture
pubbliche. Ciò significa attese lunghissime per lo scarso numero
di medici non obiettori negli ospedali. Significa inoltre un interrogatorio
inutile ma umiliante che rimanda alla donna l'immagine che il legislatore
ha di lei: individua di una specie irresponsabile, alla quale si deve
far ridire quello che lei ha già deciso, per controllarne la consapevolezza.
Nessuna meraviglia se il numero degli aborti clandestini cresce.
Passiamo così
al secondo dato di fatto: la legge 194 è applicata poco e male.
Il disagio più grave riguarda il Mezzogiorno, dove scarseggiano
ospedali e consultori e dove il numero degli obiettori è tale da
rendere impossibile l'attuazione del servizio previsto dalla legge.
A noi sembra che la non applicazione della 194 costituisca una invalidazione
della legge stessa. Come si può difendere una legge che non viene
applicata in metà del paese? Oppure si considera il Mezzogiorno
una zona franca? D'altra parte, come possiamo noi donne difendere una
legge che crea essa stessa e incrementa il regime dell'aborto clandestino
con i suoi rischi e costi?
Alcune concludono,
da quei due dati di fatto, che bisogna migliorare la 194, così
da renderla più facilmente applicabile e meglio applicata. Questa
posizione ha però contro di sé, in maniera insormontabile,
l'obiezione della libertà femminile, dei pericolo che rappresenta
per la libertà delle donne qualsiasi legge in materia di fecondità
del corpo femminile.
Non vale, d'altra
parte, appellarsi al problema delle donne economicamente svantaggiate
o del Mezzogiorno. L'aborto depenalizzato dovrà infatti restare
un servizio medico offerto dalla società alle donne che ne hanno
bisogno. E dove i servizi medici sono carenti per tutti, come nel Mezzogiorno,
possiamo supporre che la depenalizzazione favorirà l'invenzione
di soluzioni alternative, come l'apertura di ambulatori autogestiti più
sicuri e meno costosi degli attuali sistemi clandestini
Se ciò sia realistico, si dovrà naturalmente discutere,
soprattutto da parte delle donne meridionali.
In ogni caso,
difendendo o anche migliorando la 194, comunque si fa dipendere dallo
Stato la pratica dell'aborto attribuendogli il potere di legittimarlo.
E questo vuole dire, fra l'altro, negare valore giuridico (di diritto
consuetudinario) e politico alla realtà di una secolare autonomia
femminile che caratterizza la storia demografica dei paesi occidentali.
Le donne, infatti, nei paesi europei, con le loro scelte individuali di
abortire o non abortire non hanno mai prodotto squilibri demografici.
Da questo fatto possono discendere un rapporto con la vita e un sapere
preziosi per la società.
L'aborto è
sempre stato punito, anche quando la società industrializzata imponeva
pochi figli. Sull'ipocrisia di quella punizione il movimento politico
delle donne ha detto molto. Ma non si tratta solo di ipocrisia: sull'aborto
si è giocato e si gioca un conflitto di potere tra i sessi. Sono
le donne a sapere quando è cominciata una gravidanza e a decidere
se proseguirla, se informare il compagno, se interromperla, per lo più
consultandosi con altre donne. L'autorizzazione eventuale ad abortire
viene data all'interno di una cultura e di una società di donne.
Legiferare sull'aborto o sulla pillola è un modo per gli uomini
di assicurarsi simbolicamente il controllo sul corpo femminile fecondo.
In fondo, sia i sostenitori sia i critici della legge 194 sono accomunati
dalla volontà di avere quel controllo. Non si riconosce così
autorità alle decisioni femminili, né si cerca di trovare
strumenti più appropriati (come sarebbe un controllo della sessualità
maschile), trincerandosi solo nell'irresponsabilità e nel moralismo.
La questione dell'aborto va affrontata a più livelli. Ne abbiamo
individuati tre.
Il primo è
quello sanitario. Oggi rappresenta il livello in cui si crede di poter
affrontare la questione dell'aborto in tutta la sua complessità.
Non è così il dramma, lo scacco, la liberazione che una
donna vive in rapporto a questa esperienza non devono essere zone di interesse
dei servizio sanitario nazionale. Si dice da più parti: l'aborto
non è un intervento come tutti gli altri. Ogni donna sa che questo
è vero. Ma a livello sanitario l'aborto è un intervento
come gli altri, ed è giusto che sia visto così. Altrimenti,
oltre a provocare molte disfunzioni, come l'obiezione di coscienza, si
favorisce una concezione del servizio medico che esorbita dalla sua funzione
propria di aiuto sociale offerto ai singoli, alle singole nella gestione
del loro corpo. Si tende invece a dare ai medici il potere di decidere
che spetta alla donna. Dietro a questa prevaricazione c'è la volontà
dello Stato di far valere il suo controllo e la sua ideologia sulla riproduzione
della specie. Da questo punto di vista, il discorso non è diverso
se per abortire si usa una pillola, anche se certo lo è dal punto
di vista della sofferenza fisica.
Su questo punto in particolare ci interessano i giudizi di mediche, ostetriche,
ginecologhe, operatrici nel campo della salute.
Considerare
l'aborto, limitatamente al livello sanitario, un intervento come gli altri,
è il primo effetto della sua depenalizzazione. Si tratterà,
naturalmente, di un intervento mutualizzato, che potrà
essere eseguito anche in strutture private, a pagamento o convenzionate.
Il nostro sistema sanitario prevede la scelta tra pubblico e privato,
così come prevede una serie di strumenti assistenziali. Quale che
sia il giudizio che diamo su tale sistema, noi donne non abbiamo nessun
motivo di fare dell'interruzione di gravidanza una così vistosa
eccezione come è attualmente.
Depenalizzare
l'interruzione di gravidanza significa non considerarla più un
reato. Non è una banalizzazione del problema, bensì una
separazione - ecco la ragione dei più livelli - tra la sfera della
competenza femminile e quella dell'intervento pubblico. Contro questa
posizione qualcuno fa appello all'etica. Un'etica, notate, di cui la legge
dovrebbe farsi strumento penale. Noi crediamo che se di etica si deve
parlare, bisognerebbe intanto cominciare dalla deontologia propria degli
operatori e operatrici della salute.
Il secondo
livello è quello giuridico.
La 194 è un compromesso. Così a suo tempo l'ha definita
quella parte del movimento delle donne che pure era per la legalizzazione
(e non per la depenalizzazione) dell'aborto. Non tanto, come superficialmente
si potrebbe pensare, un compromesso tra destra e sinistra o tra DC e PCI
o tra cattolici e laici C'è stato anche questo, ma, più
profondamente, quella legge fu un compromesso rispetto al conflitto tra
i sessi.
Noi preferiamo che il conflitto tra i sessi non venga coperto. Tutte sappiamo
che le donne, nel campo della riproduzione, si sono sempre riconosciute
una capacità di decisione responsabile, così come sappiamo
che in questo ambito c'è conflitto tra i due sessi. Pertanto, qualsiasi
legge, qualsiasi regolazione parlamentare che si sovrapponga o pretenda
di sostituire la competenza femminile equivale a voler chiudere la contraddizione
a favore degli uomini perché misconosce la competenza e l'autorizzazione
di origine femminile.
Da dove viene
la richiesta di regolazione statale? Viene, come è noto, da cattolici,
sebbene dal loro punto di vista, se fosse rigoroso, sarebbe preferibile
il regime di depenalizzazione che toglie allo Stato l'identità
di Stato abortista e, più radicalmente, di istituzione che si arroga
il potere di legiferare sugli inizi della vita. Viene anche da uomini
dell'area laica e questo sarebbe incomprensibile se non si considerasse
quella realtà di fondo che è il conflitto tra i sessi.
Anche alcune donne dicono: l'aborto va regolato ulteriormente. La loro
voce si fa sentire parecchio, mentre quella delle molte che abortiscono
e non sentono il bisogno di regolamentazioni statali, quella è
più debole. Ma per capire la posizione femminile autonomamente,
dobbiamo passare a un altro livello, quello dei significato che ha o non
ha l'aborto per la donna, le donne.
Il terzo livello,
dunque, è quello simbolico, in cui una donna sperimenta la sua
libertà e la sua non libertà sapendo riconoscere fin dove
arriva una e dove comincia l'altra.
L'aborto è una necessità, è legato alla costrizione
della sessualità maschile che non separa piacere e riproduzione.
Vent'anni di ascolto dell'esperienza femminile insegnano che una donna,
quando decide di- abortire, sa di aver subito la regola della sessualità
maschile. Qui nasce lo scacco che è per una donna il dover abortire,
ma anche la coscienza: si tocca con mano il dato della propria non libertà,
gli impedimenti che la propria libertà scontra nel rapporto con
quella maschile.
La libertà
femminile è venuta al mondo. Si tratta di un avvenimento di natura
simbolica. Vuol dire che la libertà si è resa possibile
e pensabile dalle donne. E che esse la desiderano. Questo significa che
le donne non si rappresentano più essenzialmente come schiacciate,
represse o discriminate dagli uomini. Gli uomini, infatti, non hanno nulla
di essenziale da togliere o da dare alle donne quanto alla loro libertà.
Libertà significa trarre dallo stato di costrizione gli elementi
per superarlo, ma anche, se questo fosse impossibile, per accettarlo lucidamente.
Così il senso dell'esistenza femminile non viene da fuori, nasce
da dentro. Così si sposta il limite tra non libertà e libertà.
L'aborto ha
sempre rappresentato questo limite. A partire da una costrizione, quella
imposta dalla sessualità maschile, le donne si sono sempre autorizzate
reciprocamente questo gesto. Non però come gesto di dominio sulla
vita, come fantasticano quelli che parlano di omicidio, bensì come
conclusione necessitata dalle circostanze. Alcune, occorre aggiungere,
hanno esercitato ed esercitano sull'aborto e, più in generale,
sulla loro capacità di regolare la riproduzione, un potere e il
senso di libertà. Questa posizione è pienamente accettabile.
Visto che il corpo che fa figli è quello femminile, visto che la
funzione materna è femminile, è legittimo che le donne fondino
su ciò un loro maggior potere nella riproduzione della specie.
C'è
contraddizione tra il dire che l'aborto è una conclusione necessitata
da elementi esterni come la costrizione della sessualità maschile,
e il registrare un potere femminile legato alle decisioni sulla vita.
Tra noi che scriviamo, alcune mettono l'accento sul primo aspetto, altre
sul secondo. Siamo però d'accordo nel riconoscere la contraddizione.
In fondo, la libertà nasce dalla contraddizione: la necessità
infatti è la materia prima della libertà, se da essa si
parte per produrre senso, regola e misura di sé.
Il bisogno
di regole è legittimo. Indica una volontà di misura e di
società femminile Alle donne che invocano o anche solo ammettono
che siano altri (partiti, istituzioni, uomini) a dare loro misura e regole,
vogliamo portare la nostra esperienza che dice che le donne possono dare
alle donne l'una e le altre. Non lo dimostra solo la storia recente del
nostro sesso, l'invenzione di forme politiche per noi vantaggiose, la
riflessione teorica, l'agíre pratico di molte. Non lo dimostra
solo la vita delle moltissime che non si sono mai trovate nelle condizioni
di dover abortire. Lo dicono anche le diverse modalità che le donne
hanno trovato e trovano per fare fronte alle necessità via via
imposte dalla vita, dall'organizzazione sociale, dal dominio maschile.
Crediamo che
l'autorizzatone simbolica femminile vada potenziata e lavoriamo a questo.
Il potenziamento avviene contemporaneamente all'apertura di vuoti nell'ordine
simbolico dato. Qualsiasi intervento legislativo in materia di riproduzione
non farebbe invece che accentuare l'eteroregolazione occupando spazi che
vanno lasciati alla competenza e all'autorità femminili. Per questo
vogliamo che la parola 'reato' legata alla parola 'aborto' scompaia dal
codice penale.
Questo testo vuole essere uno strumento per il lavoro politico di singole
e gruppi. Non domanda pubblicità per sé ma attenzione al
tema della depenalizzazione dell'aborto.
Potete migliorarlo o sostituirlo con vostre elaborazioni, in vista di
un convegno che potremo tenere fra qualche mese. Quelle che lo condividono
così com'è, possono aggiungere la loro firma, riprodurlo
e farlo circolare.
Franca Chiaromonte,
Grazia Negrini, Luisa Muraro, Rossana Tidei, Raffaella Lamberti, Elena
Paciotti, Maria Grazia Campari, Letizia Paolozzi, Alessandra Bocchetti,
Daniela Dioguardi, Maddalena Giardina, Lia Cigarini, Ivana Ceresa, Angela
Putino, Giovanna Borrello, Adriana Cavarero....
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