Quando
la differenza è politica
Un libro di Maria Luisa Boccia indaga il pensare femminista
Cecilia D'Elia
L'intento dichiarato di Maria Luisa Boccia con La differenza politica,
(Il saggiatore, pp.255, euro 16,60) è quello di tirare le fila
di una fase della riflessione teorica e politica delle donne per poter
guardare alle nuove domande che urgono, prime tra tutte quelle poste dallo
sviluppo scientifico e tecnologico. Come sempre accade, tirare le fila
non è una semplice messa in ordine di ciò che è già
noto.
Il libro esplicita il nesso con la modernità che teoria e politica
femminista hanno. La politica moderna, attraverso la figura dell'individuo
"ha fatto proprio lo statuto del neutro universale già dominante
nel sapere". La cittadinanza si è così liberata dei
rapporti gerarchici fondati sulle differenze naturali. Le donne hanno
quindi utilizzato le potenzialità di emancipazione che tale progetto
offriva loro, ma, ed è questo "l'esito imprevisto" dell'emancipazione
femminile, hanno dovuto poi prenderne le distanze e ne hanno reinterrogato
i fondamenti, a cominciare da quell'individuo neutro universale su cui
la cittadinanza è fondata.
La riflessione di Maria Luisa Boccia rimanda continuamente all'origine
di quel taglio operato dal femminismo, ancorando a quel gesto iniziale
la nascita del pensiero differente. Nel panorama teorico femminista, molto
più articolato di quel che spesso appare, la posizione di Boccia,
in strettissimo dialogo con quella di Carla Lonzi, si distingue perché
vede la radice del femminismo non tanto nella scelta di "pensare
la differenza sessuale", quanto in quella di "pensare differentemente".
Pensare la differenza può farsi in due sensi, il primo è
la ricerca di "un nucleo di verità della condizione femminile"
per "fare del genere il paradigma teorico-politico di un soggetto
collettivo", il secondo è la scelta di una figura della differenza
e la proposta di modelli di pratiche per darle significato. In entrambi
i casi si propone un'identità femminile che diventa prescrittiva
per tutte. Attraverso il "partire da sé" e l'autocoscienza
ha preso invece forma un altro modo di intendere il reale e l'esperienza,
si è costruito il punto di vista di una coscienza sessuata che
ha saputo trascendere l'identità di genere. Il libro affronta il
modo in cui questa coscienza ha ripensato il carattere corporeo della
soggettività, rielaborando i concetti di singolarità, pluralità
e specie.
Il rapporto tra questa soggettività incarnata e la cittadinanza
è il tema della seconda parte del volume. La figura del cittadino
si costruisce come neutra, astrae dalle differenze, abita la sfera pubblica.
Ma vi è un'altra sfera quella privata, luogo della corporeità.
Le due sfere sono rigidamente separate ma, ed è qui il nocciolo
della critica femminista, appartengono alla stessa struttura sociale.
Rileggendo il contratto sociale la teoria femminista mostra che il diritto
politico ha origine in quello sessuale, nella possibilità maschile
di accesso e di controllo del corpo femminile. Questo punto di vista illumina
diversamente la scena politica e, per stare all'attualità, il conflitto
sempre aperto sul controllo del corpo femminile, si tratti della legge
sull'aborto o di quella sulla fecondazione assistita, tema al quale Maria
Luisa Boccia ha dedicato il suo precedente lavoro, scritto con Grazia
Zuffa, L'eclissi della madre.
La lettura femminista del contratto sociale spiega alcuni dei paradossi
dell'emancipazione e illumina diversamente le questioni della cittadinanza,
dell'uguaglianza e della rappresentanza femminile. Su quest'ultima Boccia
individua tre possibili piani del discorso: quello del riequilibrio paritario
(tecnico giuridico), quello della rappresentazione (simbolico), quello
degli interessi femminili (sociale). Boccia privilegia la relazione tra
donne e la rappresentazione, cioè la necessità di rappresentare
la differenza sessuale, problema che chiama in causa il separatismo maschile
e la sessuazione della politica. Questa opzione ripropone la necessità
e l'attualità delle relazioni tra donne e di un sapere femminile
differente. L'assenza di questo rende insignificante, se non come segnale
di un'arretratezza della politica rispetto alla società, anche
la scarsa presenza femminile nelle istituzioni, perché "non
vi sono neppure le condizioni" d'esistenza del conflitto tra la differenza
politica e l'ordine istituito dei rapporti tra uomini e donne.
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